Il Collegio, richiamando preliminarmente la giurisprudenza in materia di elezioni amministrative, secondo cui l’ordinario riparto della giurisdizione sulla base del criterio del doppio binario (vale a dire, in rapporto alla consistenza della situazione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo della quale si chiede la tutela) trova applicazione nel senso della devoluzione al giudice ordinario delle controversie afferenti questioni di ineleggibilità, decadenza e incompatibilità dei candidati (concernenti diritti soggettivi di elettorato), mentre appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo le questioni afferenti alla regolarità delle operazioni elettorali, in quanto relative a posizioni di interesse legittimo, precisa che i principi ivi espressi risultano applicabili anche all’elezione di componenti di un organo amministrativo di rilevanza costituzionale quale è il Consiglio Superiore della Magistratura. A prescindere dalle funzioni assegnate all’organo, infatti, la situazione giuridica del soggetto in possesso dei requisiti per mantenere la carica assunta a seguito delle elezioni è di diritto soggettivo. Nel caso di specie, pur non venendo in considerazione una ipotesi di ineleggibilità o decadenza, i poteri esercitati dal Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti del dott. Davigo non possono definirsi di natura autoritativa ma devono ricondursi nell’ambito delle attività di verifica amministrativa della sussistenza dei requisiti necessari per il mantenimento della carica, ivi compresi quei requisiti che costituiscono un prius logico del diritto di elettorato passivo. Con la delibera impugnata, dunque, il CSM ha affermato che, a seguito del collocamento a riposo, il dott. Davigo, in quanto componente togato dell’organo, non sarebbe più possesso di un (pre)requisito necessario per mantenere la carica. Ne consegue che, in applicazione del criterio di riparto generale della giurisdizione, il petitum sostanziale del giudizio attiene sempre alla tutela di un diritto soggettivo, poiché la verifica svolta dal CSM non è idonea a far “degradare” a interesse legittimo la posizione dell’interessato. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito, trattandosi di controversia riservata alla cognizione del giudice ordinario.
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