La Corte Costituzionale sul riconoscimento dello status di genitore alla “madre intenzionale” (Corte cost., sentenza 20 ottobre 2020 – 4 novembre 2020, n. 230)

Con la sentenza n. 230 del 2020 la Corte costituzionale è intervenuta sulla delicata questione del riconoscimento della omogenitorialità. Pronunciandosi, infatti, sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale ordinario di Venezia in ordine alla legge n. 76/2016 sulle
unioni civili e al D.P.R. n. 396/2000 in materia di atti dello stato civile (come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.P.R. 30 gennaio 2015, n. 26, in materia di filiazione) in quanto in contrasto con gli artt. 2, 3, co. 1 e 2, 30 e 117, co. 1,Cost., ha escluso che la predetta disciplina legislativa violi i diritti del minore o della c.d. “madre intenzionale”, unita civilmente a quella biologica, di un figlio, nato in Italia, ma concepito a seguito di fecondazione medicalmente assistita perfezionata all’estero. L’ampia e articolata motivazione di inammissibilità della questione fa espresso richiamo alla precedente giurisprudenza costituzionale, di legittimità e della Corte EDU in materia, evidenziando innanzitutto che il progetto di genitorialità basato su PMA può coinvolgere solo coppie di sesso diverso, essendo legislativamente impedito alle coppie dello stesso sesso di accedere, in Italia, a tale tecnica procreativa. Né tale esclusione diviene fonte di alcuna distonia o disparità di trattamento basata sull’orientamento sessuale (cfr. Corte cost. n. 221/2020), dovendosi considerare legittimo che una legge nazionale riservi il ricorso all’inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica: ciò proprio perché la situazione delle seconde non è paragonabile a quella delle prime (Corte EDU, sent. 15.03. 2012, Gas e Dubois contro Francia). La Corte ha inoltre ricordato che l’art. 30 Cost. “non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli” e “[l]a libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori […] non implica che […] possa esplicarsi senza limiti” (sent. n. 162 del 2014), in quanto tale libertà deve essere bilanciata “con altri interessi costituzionalmente protetti: […] particolarmente quando si discuta della scelta di ricorrere a
tecniche di PMA, le quali, alterando le dinamiche naturalistiche del processo di generazione degli individui, aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della genitorialità e della famiglia storicamente radicati nella cultura sociale”. Le stesse fonti europee (Carta di Nizza e CEDU), in materia di famiglia, rinviano in modo esplicito alle singole legislazioni nazionali e al rispetto dei principi ivi affermati. D’altronde, precisa la Corte, “[l]a circostanza che esista una differenza tra la normativa italiana e le molteplici normative mondiali è un fatto che l’ordinamento non può tenere in considerazione. Diversamente opinando, la disciplina interna dovrebbe essere sempre allineata, per evitare una lesione del principio di eguaglianza, alla più permissiva tra le legislazioni estere che regolano la stessa materia” (sent. n. 221/2019). Escluso, dunque, che i precetti di cui agli artt. 2, 3, 30 Cost. e i parametri europei e convenzionali, congiuntamente richiamati attraverso l’intermediazione dell’art. 117, primo comma, Cost., consentano l’interpretazione adeguatrice della normativa censurata, allo stesso modo però non ne autorizzano la reductio ad legitimitatem. Pertanto, se il riconoscimento della omogenitorialità, all’interno di un rapporto tra due donne unite civilmente, non è imposto dagli evocati precetti costituzionali, vero è anche che tali parametri neppure sono chiusi a soluzioni di segno diverso, valutazioni che solo il legislatore (al quale la Corte sembra indicare la via preferenziale della disciplina dell’adozione in casi particolari) può operare in una più penetrante ed estesa tutela del primario interesse del minore. E’, infine, da segnalare che la Corte ha confermato, in via preliminare, l’ordinanza (allegata alla sentenza de qua) “con la quale è stata esclusa l’ammissibilità dell’intervento dell’Avvocatura per i diritti LGBTI, poiché titolare di meri interessi indiretti e generali correlati ai suoi scopi statutari e non di un interesse direttamente riconducibile all’oggetto del giudizio principale”.

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