La Corte Edu si pronuncia sul caso di due cittadini bulgari, appartenenti alla minoranza turcomusulmana in Bulgaria, i quali avevano dapprima (nel 2008) costituito e registrato un’associazione per l’integrazione della Popolazione di lingua turca in Bulgaria, poi (nel 2009) avevano deciso di fondare un partito politico, l’Unione democratica musulmana. A tal fine, era stata convocata l’assemblea per il 26 settembre 2009, alla fine del Ramadan, nel centro di Slavyanovo, senza, tuttavia, dare preventiva comunicazione alle autorità. A causa di tale illegittimità della procedura, la mattina stessa del 26 settembre era stata notificata al primo ricorrente una ordinanza sindacale di dispersione dell’assemblea, ma nonostante tale provvedimento, i lavori proseguirono per il tempo necessario a votare costituzione del partito, l’adozione dello statuto e l’elezione dei membri negli organi direttivi. Secondo il governo, durante la conferenza stampa tenutasi subito dopo, i ricorrenti avrebbero dichiarato che scopo del partito era quello di “difendere i diritti dei musulmani in Bulgaria” e che “lo Stato [non aveva] fatto nulla per i Musulmani in Bulgaria”, che la Bulgaria non aveva ufficialmente riconosciuto la minoranza turca, e che “[è stato] un errore presentare la Bulgaria in Europa come uno Stato-nazione”. Nei giorni seguenti l’ufficio del procuratore distrettuale di Popova avviava un procedimento penale contro i ricorrenti per la creazione di un’organizzazione politica su base religiosa (reato punibile ai sensi dell’articolo 166 del codice penale), nonché per aver tenuto una riunione non autorizzata (reato ai sensi dell’articolo 174a §2 c.p.) e proseguita nonostante il divieto disposto con ordinanza sindacale. Il 1° settembre 2010 il tribunale distrettuale dichiarava i due ricorrenti colpevoli della costituzione di un partito politico su base religiosa, in violazione dell’art. 166 c.p., condannando il primo ricorrente ad una pena detentiva sospesa di un anno ed il secondo (giudicato penalmente non responsabile) al pagamento di una multa amministrativa di 4.000 lev bulgari (BGN) (2.045 euro). Il tribunale ha anche ritenuto il primo ricorrente colpevole di non aver posto fine a un’assemblea pubblica proibita dal sindaco, in violazione dell’art. 174a § 2 c.p., e condannato a una pena sospesa di sei mesi di reclusione. Inutili i rimendi interni avverso tali decisioni. La Corte Edu ha dovuto, in primo luogo, verificare se il procedimento penale avviato contro i ricorrenti per aver tentato di costituire un partito in violazione dell’art. 166 c.p. rispondesse al requisito di essere necessario in una società democratica. Senza soffermarsi sulla valutazione dei tribunali bulgari in ordine al fatto che il partito politico in questione potesse effettivamente ritenersi come avente una ‘base religiosa’, la Corte ha espresso seri dubbi circa la necessità di sanzioni penali in aggiunta al divieto di tali partiti. Ed invero, una condanna penale rappresenta una delle forme più gravi di interferenza con il diritto alla libertà di espressione. Ciò vale anche per il diritto alla libertà di associazione, che mira, tra l’altro, alla tutela delle opinioni e della libertà di esprimerle, soprattutto ove siano interessati i partiti politici. I Giudici di Strasburgo hanno osservato che i ricorrenti non avevano completato la procedura richiesta per la registrazione di un partito politico, con la conseguenza che il partito formalmente non esisteva, nè poteva esercitare alcuna attività. L’obiettivo perseguito dalle autorità – vale a dire la pacifica coesistenza di gruppi etnici e religiosi in Bulgaria – poteva, quindi, essere soddisfatto semplicemente attraverso tale procedura, rifiutando, se del caso, la registrazione dell’aspirante partito politico. Peraltro, le autorità dispongono eventualmente anche di un altro strumento, ossia, lo scioglimento del partito in caso di dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale. Pertanto, non sono state ravvisate valide ragioni per cui, nel caso di specie, oltre a tali opzioni, fosse necessario ricorrere a misure penali. Alla luce di quanto sopra, la Corte ha ritenuto il procedimento penale avviato contro i ricorrenti, per tentata costituzione di un partito politico su base religiosa, non necessario in una società democratica, con conseguente violazione dell’art. 11 Cedu.
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