Con la decisione resa al caso di Rashkin contro Russia, la Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato da un ex parlamentare, membro del Partito comunista di opposizione, il quale, in occasione di una riunione tenutasi per celebrare il 92° anniversario della Rivoluzione bolscevica, aveva accusato il governo di “crimini contro la nazione russa”. In seguito a ciò, il Sig. Rashkin veniva denunciato dal Sig. Volodin, membro della Duma di stato, con l’accusa di diffamazione e, per l’effetto, condannato dal Tribunale distrettuale di Leninskiy al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno; la decisione veniva confermata anche in appello.
Tuttavia, il ricorrente lamentava che nel caso di specie si fosse concretizzata una violazione del suo diritto alla libertà di espressione di cui all’art. 10 della Convenzione e ciò su un duplice presupposto: da un lato, i tribunali non avrebbero tenuto in debito conto che lo stesso, in qualità di membro di un partito dell’opposizione, avrebbe goduto di una tutela rafforzata nell’esercizio della libertà di espressione; dall’altro, le dichiarazioni impugnate non erano state fondate su informazioni verificate o verificabili e, peraltro, apparivano inidonee ad arrecare un pregiudizio grave e concreto al Sig. Volodin.
La Corte EDU coglie quindi l’occasione per ribadire che, nel riesaminare a norma dell’articolo 10 della Convenzione le decisioni dei tribunali nazionali, occorre accertare che le autorità nazionali abbiano applicato norme conformi ai principi incorporati nella norma testé richiamata e che si siano basate su una valutazione accettabile dei fatti pertinenti. A tal fine, devono essere presi in considerazione i seguenti elementi: la posizione del richiedente e della persona contro la quale sono state dirette le critiche, il contesto e l’oggetto della dichiarazione contestata, la sua caratterizzazione da parte dei tribunali nazionali e la sanzione imposta.
Facendo applicazione di tali parametri, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che i tribunali non avessero deciso in senso conforme ai principi sanciti dall’articolo 10 della Convenzione. Innanzitutto, per quanto riguarda la posizione del richiedente, la Corte ha affermato che la garanzia della libertà di espressione assume una peculiare importanza soprattutto per i rappresentanti eletti dal popolo; di conseguenza, l’interferenza con la libertà di espressione di un membro dell’opposizione parlamentare, come il richiedente, avrebbe necessitato di un controllo più attento. Diversamente, i giudici di Strasburgo puntualizzano che il Sig. Volodin era stato anch’esso un membro del parlamento, ma eletto dal partito di governo e, anche in ragione della sua carriera politica, avrebbe dovuto dimostrare un maggior grado di tolleranza e accettare limiti più ampi di critica. A ciò si aggiunga che le affermazioni del ricorrente avrebbero costituito una dichiarazione di responsabilità politica collettiva piuttosto che un’accusa, rivolta al suo avversario, di specifici reati; inoltre, come forma di espressione politica, l’esternazione del ricorrente avrebbe dovuto godere di un livello più elevato di protezione ai sensi dell’articolo 10 della Convenzione, poiché devono sussistere ragioni molto forti per giustificare restrizioni ad un discorso politico, pur se controverso o virulento. Infine, la Corte ha ritenuto che la sanzione inflitta al ricorrente fosse irragionevolmente eccessiva, in alcun modo proporzionale al pregiudizio arrecato dalle sue dichiarazioni. Per questi motivi, i giudici hanno constatato la violazione della libertà di espressione e, per conseguenza, condannato lo Stato convenuto al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in favore del richiedente. Infine, con opinione dissenziente, tre giudici hanno espresso la loro contrarietà alla decisione assunta dalla maggioranza, contestando l’esito dell’operazione di bilanciamento che, nel caso di cui si tratta, la Corte ha compiuto nel conflitto tra il diritto alla libertà di espressione di cui all’articolo 10 e il diritto alla protezione della vita privata di cui all’art. 8 della Convenzione.