Bancarotta e “riparazione” successiva al fallimento (Cass. pen., Sez. V, 17 febbraio – 19 maggio 2020, sent. n. 15406)

Con riferimento all’incidenza della riparazione del danno patrimoniale ai fini delle condotte di bancarotta fraudolenta ex art. 216, l. fall. (r.D. n. 267/1942), la bancarotta cd. riparata si configura, facendo così venir meno l’elemento materiale del reato, soltanto ove la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività riparatoria che reintegri il patrimonio dell’impresa prima che intervenga la dichiarazione di fallimento.

Ciò in quanto, la norma incriminatrice de qua, in quanto reato di pericolo concreto, punisce il pregiudizio per i creditori derivante già dalla potenzialità lesiva delle condotte distrattive prima che giunga il momento di manifestazione del dissesto. Pertanto risulta irrilevante, ai fini dell’esclusione dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione o dissipazione, che l’attività restitutoria o riparatoria, consistente in qualsiasi operazione idonea a reintegrare il patrimonio dell’impresa annullando ogni potenziale pericolo per le ragioni del ceto creditorio, derivante da pregresse condotte, sia posta in essere in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, ad iniziativa del curatore.

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