Emergenza COVID-19: beni di prima necessità e manovre speculative (Tribunale di Lecce, ord. 27 aprile 2020)

Lavendita di mascherine protettive, da parte di un operatore commerciale, ad unprezzo irragionevolmente elevato è una condotta suscettibile, in astratto, di integrare gli estremi del delitto di cui all’art. 501-bis c.p.: si tratta, infatti, di un’azione che rientra nel concetto di “manovra speculativa”, avente ad oggetto “beni di prima necessità”, realizzata nell’esercizio di un’attività commerciale.

Tuttavia, affinché la predetta fattispecie incriminatrice possa ritenersi integrata, è necessario che la condotta posta in essere, in considerazione delle dimensioni dell’impresa, della quantità delle merci vendute e della possibile influenza sui comportamenti degli altri operatori del settore, possa tradursi in un rincaro dei prezzi generalizzato o, comunque, diffuso; in caso contrario, essa si rivela insuscettibile di incidere sul “mercato interno” o, quantomeno, sul “mercato locale” (inteso come un’ampia zona del territorio dello Stato), dunque non in grado di ledere la pubblica economia (quindi di influire sulla “situazione economica generale”), non rientrando nell’alveo applicativo del delitto previsto dall’art. 501 bis c.p..

Ne consegue che la vendita a prezzi ingiustificati di mascherine, disinfettanti, guanti e altri beni di prima necessità legati all’emergenza Coronavirus non integra, se non in ipotesi di manovre speculative realizzate su larga scala, l’illecito penale di cui all’art. 501-bis c.p.

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