Il diritto al nome quale diritto inviolabile e insopprimibile a nell’intima relazione fra identità sessuale e segni distintivi della persona (Cass. Civ., Sez. I, ord. 5 dicembre- 17 febbraio 2020, n. 3877)

La Suprema Corte di Cassazione relativamente all’ipotesi di rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende consequenziale la rettificazione del prenome, ritendendo però che il medesimo non debba necessariamente essere convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo invece il giudice tener conto del nuovo prenome così come gli viene indicato dalla persona, anche laddove sia del tutto diverso dal prenome precedente, salvo ovviamente che l’indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato. Difatti la Corte, richiamandosi ad alcune pronunce della Consulta, afferma e ribadisce che il diritto al nome è un diritto inviolabile e insopprimibile della persona secondo il combinato disposto degli artt. 2 e 22 Cost. e art. 6 comma 3 c.c., e pertanto non può essere limitata la libertà di determinazione a fronte di altrettanti diritti inviolabili come la rettificazione di identità sessuale, non essendo nel nostro ordinamento ammessa la trasposizione di nome in base al genere dopo la rettifica di sesso. Ragion per cui non è ammessa una limitazione sulla base di una semplificata ricostruibilità delle registrazioni anagrafiche ma anzi è riconosciuto il diritto all’oblio quale cesura con la precedente identità.

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