Rimesse alla Corte di Giustizia dell’UE questioni relative ai contratti a tempo determinato dei ricercatori universitari (Consiglio di Stato, sez. III, ord. 12 dicembre 2019 – 10 gennaio 2020, n. 240)

Il Collegio solleva innanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, le seguenti questioni pregiudiziali di interpretazione:
1) – se la clausola 5) dell’accordo quadro di cui alla direttiva n. 1999/70/CE (Direttiva del Consiglio relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, d’ora in avanti «direttiva»), intitolata «Misure di prevenzione degli abusi», letta in combinazione coi considerando
6) e 7) e con la clausola 4) di tal Accordo («Principio di non discriminazione»), nonché alla luce dei principi di equivalenza, d’effettività e dell’effetto utile del diritto eurounitario, osta a una normativa nazionale, nella specie l’art. 24, co. 3, lett. a) e l’art. 22, co. 9 della l. 240/2010, che consenta alle Università l’utilizzo, senza limiti quantitativi, di contratti da ricercatore a tempo determinato con durata triennale e prorogabili per due anni, senza subordinarne la stipulazione e la proroga ad alcuna ragione oggettiva connessa ad esigenze temporanee o eccezionali dell’Ateneo che li dispone e che prevede, qual unico limite al ricorso di molteplici rapporti a tempo determinato con la stessa persona, solo la durata non superiore a dodici anni, anche non continuativi; 2) – se la citata clausola 5) dell’Accordo quadro, letta in combinazione con i considerando 6) e 7) della direttiva e con la citata clausola 4) di detto Accordo, nonché alla luce dell’effetto utile del diritto eurounitario, osta ad una normativa nazionale (nella specie, gli artt. 24 e 29, co. 1 della l. 240/2010), laddove concede alle Università di reclutare esclusivamente ricercatori a tempo determinato, senza subordinare la relativa decisione alla sussistenza di esigenze temporanee o eccezionali senza porvi alcun limite, mercé la successione potenzialmente indefinita di contratti a tempo determinato, le ordinarie esigenze di didattica e di ricerca di tali Atenei; 3) – se la clausola 4) del medesimo Accordo quadro osta ad una normativa nazionale, quale l’art. 20, co. 1 del D.lgs. 75/2017 (come interpretato dalla citata circolare ministeriale n. 3/2017), che, nel mentre riconosce la possibilità di stabilizzare i ricercatori a tempo determinato degli Enti pubblici di ricerca —ma solo se abbiano maturato almeno tre anni di servizio entro il 31 dicembre 2017—, non la consente a favore dei ricercatori universitari a tempo determinato sol perché l’art. 22, co. 16 del D.lgs. 75/2017 ne ha ricondotto il rapporto di lavoro, pur fondato per legge su un contratto di lavoro subordinato, al “regime di diritto pubblico”, nonostante l’art. 22, co. 9 della l. 240/2010 sottoponga i ricercatori degli Enti di ricerca e delle Università alla stessa regola di durata massima che possono avere i rapporti a tempo determinato intrattenuti, sotto forma di contratti di cui al successivo art. 24o di assegni di ricerca di cui allo stesso art. 22, con le Università e con gli Enti di ricerca;
4) – se i principi di equivalenza e di effettività e quello dell’effetto utile del diritto UE, con riguardo al citato Accordo quadro, nonché il principio di non discriminazione contenuto nella clausola 4) di esso ostano ad una normativa nazionale (l’art. 24, co. 3, lett. a della l. 240/2010 e l’art. 29, commi 2, lett. d e 4 del D.lgs. 81/2015) che, pur in presenza d’una disciplina applicabile a tutti i lavoratori pubblici e privati da ultimo racchiusa nel medesimo decreto n. 81 e che fissa (a partire dal 2018) il limite massimo di durata d’un rapporto a tempo determinato in 24 mesi (comprensivi di proroghe e rinnovi) e subordina l’utilizzo di rapporti a tempo determinato alle dipendenze della Pubblica amministrazione all’esistenza di «esigenze temporanee ed eccezionali», consente alle Università di reclutare ricercatori grazie ad un contratto a tempo determinato triennale, prorogabile per due anni in caso di positiva valutazione delle attività di ricerca e di didattica svolte nel triennio stessa, senza subordinare né la stipulazione del primo contratto né la proroga alla sussistenza di tali esigenze temporanee o eccezionali dell’Ateneo, permettendogli pure, alla fine del quinquennio, di stipulare con la stessa o con altre persone ancora un altro contratto a tempo determinato di pari tipologia, al fine di soddisfare le medesime esigenze didattiche e di ricerca connesse al precedente contratto; 5) – se la clausola 5) del citato Accordo Quadro osta, anche alla luce dei principi di effettività e di equivalenza e della predetta clausola 4), a che una normativa nazionale (l’art. 29, commi 2, lett. d e 4 del D.lgs. 81/2015 e l’art. 36, commi 2 e 5 del D.lgs. 165/2001) precluda ai ricercatori universitari assunti con contratto a tempo determinato di durata triennale e prorogabile per altri due (ai sensi del citato art. 24, co. 3, lett. a della l. 240/2010, la successiva instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato, non sussistendo altre misure all’interno dell’ordinamento italiano idonee a prevenire ed a sanzionare gli abusi nell’uso d’una successione di rapporti a termine da parte delle Università.

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