La domanda di riconoscimento della protezione internazionale può fondarsi sul pregiudizio derivante da un principio religioso o consuetudinario che obbliga ad un matrimonio non voluto (Cass. Civ., sez. VI, sent. 22 ottobre – 25 novembre 2019, n. 30700)

Deve riconoscersi lo status di rifiugiato alla vittima della del levirato in quanto le limitazioni al godimento dei propri diritti fondamentali attuate ai danni di una donna, a causa del suo rifiuto di attenersi alla consuetudine religiosa locale che, in caso di vedovanza, impone il matrimonio con il fratello del marito defunto, si configurano come atti di persecuzione basati sul genere, riconducibili alla nozione di violenza domestica di cui all’art. 3 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, anche nel caso in cui le autorità tribali del luogo abbiano consentito alla donna di sottrarsi al matrimonio forzato, ma a condizione che si allontanasse dal villaggio, abbandonando i propri figli ed i propri beni. Inoltre la domanda di riconoscimento della protezione internazionale può fondarsi sul pregiudizio derivante da un principio religioso o consuetudinario che obbliga ad un matrimonio non voluto, la cui imposizione a carico di un uomo, se non consente di ricondurre la fattispecie all’ambito applicativo della Convenzione di Istanbul, potrebbe non escludere tuttavia il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. a), il quale richiede l’accertamento di atti di persecuzione sufficientemente gravi, per loro natura o frequenza, da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa, ai sensi dell’art. 15 CEDU, par. 2

Redazione Autore