L’indennizzo secondo la legge Pinto non discende automaticamente dal mero superamento dei termini indicativi di durata del processo (Cass. Civ., sez. II, sent. 23 maggio – 9 ottobre 2019, n. 25318)

Ai fini della ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dall’art. 2 della legge suddetta. Da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo. Pertanto, sebbene l’amministrazione della Giustizia debba ad ogni modo provvedere in tempi complessivamente e tendenzialmente ragionevoli, se occorre avvalendosi dei propri poteri autoritativi intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento (art. 175 c.p.c., comma 1), la condotta delle parti, che abbiano chiesto ripetuti rinvii non funzionali alle cadenze necessarie del processo, influisce sulla determinazione in concreto della durata congrua, escluso ogni automatismo che, attribuendo rilievo assorbente al comportamento solo delle parti o solo del giudice, sopprima uno dei due accertamenti richiesti dalla norma anzi detta.

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