La Corte di Giustizia si pronuncia sull’obbligo degli Stati membri di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto per motivi di studio (CGUE, Sezione prima, 10 marzo 2021, C-949/19)

L’articolo 21, paragrafo 2 bis, della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, firmata a Schengen il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995, come modificata dal regolamento (UE) n. 610/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, deve essere interpretato nel senso che esso non è applicabile al cittadino di uno Stato terzo cui sia stato negato un visto per soggiorni di lunga durata. Il diritto dell’Unione, segnatamente l’articolo 34, paragrafo 5, della direttiva (UE) 2016/801 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2016, relativa alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi e collocamento alla pari, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere una procedura di ricorso contro le decisioni di diniego di visto per motivi di studio, ai sensi di tale direttiva, le cui modalità siano definite dall’ordinamento giuridico del singolo Stato membro nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, e tale procedura deve garantire, a un dato stadio del procedimento, un ricorso giurisdizionale. Spetta al giudice del rinvio verificare se la domanda di visto nazionale per soggiorni di lunga durata per motivi di studio di cui trattasi nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva in parola.

Redazione Autore