La CEDU su insegnante serbo licenziato per non aver tenuto lezioni in croato (CEDU, sez. I, sent. 17 dicembre 2020, ric. n. 73544/14)

La Corte Edu si pronuncia sul caso del sig. Novakovic, un insegnante di etnia serba, il quale lamentava un ingiusto licenziamento, subito nel 1999, per aver tenuto le sue lezioni in serbo anziché in croato, come previsto dalla legislazione nazionale di riferimento. Il ricorrente aveva vissuto e
lavorato in Croazia per la maggior parte della sua vita professionale e al momento del suo licenziamento lavorava in una scuola media nell’Est Slavonia, in un’area che dopo la guerra era stata reintegrata pacificamente nel territorio croato. Le autorità avevano ritenuto impossibile che il
Novakovic imparasse il croato, al punto da farne lingua di insegnamento, avendo già 55 anni all’epoca dei fatti. Il ricorrente ha contestato il suo licenziamento innanzi ai giudici nazionali, adendo anche la Corte Costituzionale, ma invano. Di qui la scelta di rivolgersi alla Corte Edu, denunciando la violazione dell’art. 8 (diritto alla vita privata), dell’art. 14 (divieto di discriminazione) e dell’articolo 1 del Protocollo n. 12 (divieto generale di discriminazione), lamentando l’arbitrarietà del suo licenziamento, fondato su una discriminazione in ragione della sua età ed etnia. In primo luogo, la Corte ha valutato ed ammesso l’applicabilità dell’art.8 Cedu al caso di specie, in quanto le ragioni del licenziamento (utilizzo del serbo nel lavoro quotidiano e presunta incapacità di modificare la sua lingua di insegnamento a causa dell’età) afferiscono certamente alla vita privata del ricorrente: la lingua attiene all’identità etnica, l’età all’identità fisica di una persona. Il Governo aveva sostenuto che il licenziamento del ricorrente fosse stato necessario per tutelare il diritto degli alunni ad un’istruzione in lingua croata. La Corte, pur non mettendo in discussione l’importanza di tale motivazione nel contesto della Slavonia orientale in quel momento storico, ha osservato che non era stata presa in considerazione alcuna alternativa al licenziamento, in modo da consentire al ricorrente di uniformare il suo insegnamento alla legislazione in vigore. In particolare, la scuola non aveva esplorato la possibilità di una formazione specifica, escludendo che il ricorrente potesse migliorare le proprie competenze linguistiche, esclusivamente in ragione dell’età e degli anni di servizio. Inoltre, né la scuola, né i tribunali nazionali avevano mai fornito una spiegazione dettagliata e convincente del motivo per cui l’età del ricorrente avrebbe comportato un impedimento insormontabile a seguire una formazione aggiuntiva che gli consentisse di insegnare in lingua croata, soprattutto in considerazione dell’innegabile assonanza delle due lingue interessate, nonché del fatto che il ricorrente aveva vissuto e lavorato in Croazia per la maggior parte della sua vita professionale. Peraltro, i Giudici di Strasburgo hanno stigmatizzato la circostanza che l’ispezione da cui era scaturito il licenziamento di Novakovic, fosse stata eseguita solo nei confronti di insegnanti di origine etnica serba. Di qui la dichiarazione, con sei voti contro uno, dell’avvenuta violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata) della Convenzione, ritenendo assorbiti gli altri motivi di ricorso.

Redazione Autore