La Corte EDU sulla protezione del diritto alla vita (CEDU, sez. V, sent. 17 dicembre 2020, ric. n. 11464/12)

Il ricorso sul quale si è pronunciata la Corte EDU è stato presentato da un cittadino ucraino contro il suo Paese adducendo la violazione dell’art. 2 della Convenzione sia sotto il suo profilo sostanziale che procedurale. Riguardo al primo profilo, il ricorrente ha denunciato l’avvenuto decesso del figlio che, sospettato di far parte di un’organizzazione criminale, veniva – intenzionalmente e senza giustificato motivo – colpito a morte da un agente di polizia nel corso di “una imboscata”. Come sostenuto nel ricorso, la condotta della vittima – al momento della sparatoria – non aveva integrato nessuna delle fattispecie che ai sensi dell’art. 2 par. 2 CEDU legittimano il ricorso all’uso della forza. Quanto poi al profilo procedurale il ricorrente contestava le modalità di svolgimento delle indagini condotte, ritenendole contraddittorie, lacunose e inidonee a rappresentare le reali circostanze della morte del figlio e, soprattutto, ne eccepiva l’inutilità a dimostrare se questi fosse o meno armato. Di contro, il Governo deduceva – sulla base delle testimonianze acquisite e delle azioni investigative svolte – che la vittima fosse armata; che la condotta dell’agente di polizia risultasse lecita e giustificata ai sensi dell’art. 2, par. 2 CEDU, e che l’evento letale fosse scaturito da uno scontro armato avvenuto tra la vittima e la polizia a seguito del suo tentativo di eludere l’arresto. La Corte EDU nello scrutinare il ricorso ha dato preliminarmente rilievo a due questioni di ordine più generale: la prima, se l’uso della forza da parte della polizia fosse giustificato; la seconda, se le indagini svolte fossero adeguate ed efficaci all’accertamento della verità processuale. Con riferimento a quest’ultimo profilo la Corte ha ribadito, in via di principio, che la protezione del diritto alla vita ai sensi dell’art. 2 CEDU implica di per sé l’espletamento di indagini tempestive e adeguate ad accertare la sussistenza dei presunti delitti denunciati. Di tal guisa, i giudici di Strasburgo hanno precisato che affinché esse siano efficaci è necessario che siano condotte da persone indipendenti rispetto a quelle implicate negli eventi e che siano accessibili alla famiglia della vittima. L’attività inquisitiva deve essere altresì strumentale a dimostrare se la forza usata sia o meno giustificata e, a tal fine, le autorità devono fornire un quadro probatorio quanto più possibile completo, avvalendosi – se del caso – di ogni prova utile (testimonianze oculari, autopsia, registrazioni etc.) a dimostrare la causa della morte. Poste queste precisazioni e, passando al caso di specie, la Corte EDU ha considerato le indagini svolte dagli inquirenti insufficienti, inefficienti e intempestive, in quanto caratterizzate da numerose interruzioni, ritardi e carenze tali da violare il disposto dell’art. 2 della CEDU sotto il suo profilo procedurale. La stessa disposizione è stata altresì giudicata violata sotto il suo profilo sostanziale, in quanto l’uso della forza da cui ne è derivato l’evento mortale non è apparso strettamente proporzionale al raggiungimento di uno degli scopi previsti dalla norma stessa. Più in particolare, ha osservato la Corte, il Governo non ha fornito una spiegazione soddisfacente e convincente circa la necessarietà e la proporzionalità della forza esercitata e ha concluso che l’operazione non fosse stata adeguatamente pianificata e condotta in modo tale da ridurre al minimo il ricorso all’uso della forza letale.

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