La Corte EDU sulla libertà religiosa e la costruzione dei luoghi di culto (CEDU, sez. IV, sent. 10 novembre 2020, ric. n. 5301/11)

La decisione della Corte EDU scaturisce dal ricorso presentato da un’organizzazione religiosa bulgara – denominata Testimoni di Geova – contro la Repubblica di Bulgaria, per violazione degli articoli 9, 11, 13 e 14 della Convenzione nonché dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione. La ricorrente aveva lamentato il reiterato diniego da parte delle autorità pubbliche del permesso di costruire un edificio di culto, ove professare la propria fede e riunire i fedeli per svolgere riti cultuali. A parere della ricorrente tale impedimento si era basato su misure amministrative ritenute illegittime e, in particolare, l’ordinanza del sindaco con la quale era stata disposta la sospensione dei lavori era stata adottata in seguito alle pressioni pubbliche ricevute dagli abitanti del quartiere e sulla base di considerazioni fondate unicamente su pregiudizi discriminatori. Di contro, per le autorità pubbliche e i tribunali nazionali tale sospensione era giustificata per le gravi irregolarità riscontrate nel processo di costruzione, all’esito di un’ispezione relativa al rispetto delle norme di cantiere. E parimenti infondata era la dedotta violazione dell’art. 9 in combinato disposto con l’art. 11 CEDU. Il Governo, in merito, sosteneva infatti l’impossibilità di dedurre da tali disposizioni il diritto dei richiedenti di riunirsi per manifestare le loro credenze religiose così come il diritto di ottenere un luogo di culto dalle autorità pubbliche. La Corte EDU investita della questione, prima di scrutinare il caso di specie, ha ribadito alcuni principi generali. Essa ha ricordato che, sebbene la Convenzione non garantisca il diritto alla concessione di un luogo di culto da parte delle autorità, le restrizioni all’istituzione dei medesimi possono di fatto costituire un’interferenza con il diritto garantito dall’articolo 9 CEDU. La possibilità di utilizzare e disporre di edifici di culto costituisce un aspetto fondamentale per l’esercizio della libertà religiosa sia nella sua dimensione individuale che associata. Resta però, in ogni caso, ferma la regola generale che riconosce alle autorità nazionali un ampio margine di discrezionalità nella scelta e attuazione delle loro politiche di pianificazione urbana. Riaffermati tali principi la Corte EDU è passata ad analizzare il caso di specie. Per i giudici di Strasburgo le diverse misure amministrative adottate nel torno di tempo considerato si sono tradotte in un’interferenza con la libertà religiosa della ricorrente. Difatti, anche l’applicazione di disposizioni come i regolamenti di pianificazione urbana può in alcuni casi costituire un’ingerenza con tale fondamentale diritto. Simili restrizioni possono giustificarsi, come ha ricordato la Corte, solo se prescritte dalla legge e se “necessarie in una società democratica” secondo la lettera del secondo paragrafo dell’articolo 9 CEDU. Per conseguenza, la Corte ha rilevato la violazione dell’articolo 9 della Convenzione, interpretato alla luce della protezione offerta dall’articolo 11. Riguardo, invece, all’art. 13 CEDU la Corte ha ritenuto tale dedotta violazione assorbita nella precedente; mentre quella concernente l’art. 14 è stata dichiarata inammissibile. Conclusivamente e con riguardo alla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale avanzata dalla ricorrente la Corte ha ricordato come tale pretesa debba essere accompagnata dalla dimostrazione dell’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione e il danno finanziario subito. Per il caso di specie, quindi, alla ricorrente è stato riconosciuto il ristoro per danno morale, ma non anche il risarcimento per danno patrimoniale.


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