La CEDU si è pronunciata sull’art. 7 Conv. (Nulla poena sine lege). Il ricorrente, ai sensi di questo articolo, si è lamentato di esser stato condannato per la detenzione di un fucile subacqueo, non dichiarato alle autorità, atto che di fatto non costitutiva reato ai sensi della legge sulle armi. In particolare ha sostenuto che, ai sensi della Sez. 4 della legge sulle armi, i fucili subacquei erano stati esclusi dalla nozione stessa di arma. Il governo ha sostenuto che il ricorrente era stato condannato a causa di un atto che costituiva reato minore del diritto interno. Ha ritenuto infatti che, ai sensi della succitata legge, il ricorrente aveva l’obbligo di dichiarare la detenzione del suo fucile alle autorità competenti. La Corte per prima cosa ha sostenuto il principio secondo cui solo la legge può definire un crimine e prescrivere una pena. Nel caso di specie per la Corte hanno assunto rilevanza decisiva i seguenti elementi: le armi subacquee, destinate alla pesca, erano escluse dalla nozione di arma, come definita dalla legge sulle armi; il governo non ha contestato che il fucile era stato trovato nell’auto insieme ad altre attrezzature da spiaggia, il che suggerisce che era effettivamente destinato alla pesca; il ricorrente ha argomentato che per la detenzione di tali fucili non era richiesto alcun permesso, contrariamente necessario per le armi. Tutti questi elementi sono stati sufficienti per consentire alla Corte di concludere che i tribunali nazionali contra legem, e quindi imprevedibilmente, hanno interpretato le disposizioni della legge a discapito del ricorrente. Per questo motivo vi è stata una violazione dell’art. 7 della Convenzione.
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