La CEDU si pronuncia sul diritto alla libertà di espressione sancito dall’art. 10 Conv. Il caso è quello della società Oltchim, quotata in borsa ed avente come azionista di maggioranza lo stato rumeno. La richiedente, una società azionista di minoranza, è stata condannata per le affermazioni rese in una conferenza stampa, nella quale ha espresso il proprio parere sull’attività della Oltchim e sul modo in cui veniva gestita. La ricorrente ha affermato che le informazioni divulgate riguardavano la situazione finanziaria della Oltchim e non dati segreti o confidenziali che avrebbero potuto invadere la privacy dell’amministratore delegato C.R. Per la ricorrente le dichiarazioni rilasciate avevano il solo scopo di avvisare l’opinione pubblica di un problema di interesse generale. La Corte ha ricordato che la libertà di espressione è una delle basi essenziali in una società democratica e una delle condizioni base per il suo progresso e per il suo sviluppo, anche laddove le informazioni e le idee ricevute colpiscono, sconvolgono o disturbano. E’ inevitabile che le grandi società si espongano ad un attento controllo delle loro azioni e, per quanto riguarda gli uomini di affari che le gestiscono, i limiti delle critiche ammissibili sono più ampi verso di loro piuttosto che verso un privato. Secondo la Corte i tribunali nazionali non hanno inteso che la controversia riguardasse un conflitto tra il diritto alla libertà di espressione e quello di protezione della reputazione. La maggior parte delle informazioni comunicate riguardava questioni finanziarie che avrebbero potuto avere un impatto sulla richiedente: aumento del capitale, accumulo dei debiti, capitalizzazione inferiore a quella annunciata. I giudici di Strasburgo ritengono di non poter sostenere la tesi del Governo secondo cui la richiedente desiderava creare uno stato di panico e danneggiare gli interessi commerciali della Oltchim. Al contrario, ritiene che l’intenzione della richiedente fosse quella di aprire un dibattito sulla gestione dell’azienda dove aveva un interesse, motivata dal desiderio di esercitare un controllo attivo sull’azienda con il fine di migliorarne la governance e promuoverne la valorizzazione. Per questi motivi la Corte ritiene che i giudici nazionali non abbiano correttamente bilanciato la necessità di proteggere la reputazione di CR e quella di garantire il rispetto delle norme della Conv., in base alle quali devono esistere validi motivi per giustificare la limitazione della libertà di espressione nei dibattiti su questioni di interesse pubblico in una grande impresa. Non avendo raggiunto un giusto equilibrio tra la necessità di preservare la reputazione di CR e quella di proteggere la libertà di espressione della richiedente, vi è stata una violazione dell’art. 10 Conv.
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