La CEDU su indagini penali inconcludenti, ma prive di carenze evidenti e gravi (CEDU, sez. II, sent. 25 febbraio 2020, ric. n. 72065/17)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di tre ricorrenti, padre, madre e figlio, la cui casa era stata intenzionalmente incendiata di notte, mentre i primi due erano all’interno, riuscendo a fuggire attraverso una finestra. Un’indagine preliminare era stata aperta subito dopo il fatto ed era durata circa sette mesi prima di essere sospesa. Si sospettava un vicino, ma non era stata trovata alcuna prova a suo carico. Il pubblico ministero aveva successivamente ammesso, nell’ambito di procedimenti disciplinari, che alcune misure investigative non erano state attuate correttamente.

I ricorrenti proposero, quindi, un’azione civile contro lo Stato, ma i tribunali nazionali esclusero l’esistenza di un nesso causale diretto tra le presunte carenze e l’incapacità dell’indagine di identificare l’autore.
La Corte Edu ricorda che nei casi riguardanti attacchi potenzialmente letali a persone fisiche, le autorità statali hanno l’obbligo di agire di propria iniziativa una volta giunta la questione alla loro attenzione. Tuttavia, i ricorrenti non avevano asserito, nel corso del procedimento nazionale, di aver subito lesioni o di aver rischiato la vita o la salute a causa della natura pericolosa dell’attacco incendiario, né di aver richiesto cure mediche a seguito dello stesso. Parimenti i ricorrenti non avevano lamentato violazioni degli artt. 2 o 3 della Convenzione nella prima domanda rivolta alla Corte Edu. Ebbene, in assenza di reclami in tal senso da parte dei ricorrenti, l’esame della Corte deve limitarsi a verificare flagranti e gravi carenze nelle indagini penali (conformemente alla sua giurisprudenza in tema di art. 1 del Protocollo n. 1 – Blumberga v. Lettonia, caso relativo al furto con scasso).

Ebbene, il fatto che l’indagine pre-processuale non avesse identificato l’autore dell’incendio doloso non era sufficiente per asserirne l’inefficacia. In particolare, secondo i giudici di Strasburgo le prove che i tribunali nazionali avevano ritenuto di fondamentale importanza erano state assunte e conservate correttamente, mentre l’identificazione del materiale infiammabile era stata impossibile, senza che ciò potesse essere imputato a colpa delle autorità. D’altronde, durante il procedimento nazionale i ricorrenti non avevano chiesto alle autorità di attuare ulteriori misure investigative, come ottenere o esaminare altri oggetti o interrogare altri testimoni. Né avevano presentato ricorso contro le decisioni del procuratore di interrompere le indagini nei confronti del vicino e di sospendere le indagini. In effetti, i ricorrenti avevano esplicitamente riconosciuto che, a loro avviso, erano state attuate tutte le misure investigative necessarie. La Corte non aveva motivo di ritenere diversamente. Inoltre, i ricorrenti non si erano lamentati della durata dell’inchiesta, né avevano sostenuto che vi fossero stati periodi di inattività. Pertanto, la Corte non ha potuto accertare che la mancata conclusione positiva del procedimento penale fosse stata il risultato di evidenti e gravi carenze nell’agire delle autorità.

Lo Stato, pertanto, non era venuto meno ai propri obblighi positivi derivanti dall’art.1 del Protocollo 1 alla Convenzione.

Redazione Autore