Non è incostituzionale l’istituto della “messa alla prova”. (Corte cost. sent., 21 febbraio 2018 – 27 aprile 2018, n. 91)

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale riguardati l’istituto della messa alla prova ritenendo non violati gli articoli 27 e 25 della Costituzione, sotto il profilo, rispettivamente, della presunzione di non colpevolezza e della determinatezza del trattamento sanzionatorio. In particolare, la messa alla prova, anche se può assimilarsi al patteggiamento per la base consensuale del procedimento e del conseguente trattamento, presenta aspetti che da questo la differenziano, al punto da non consentire un riferimento nei termini tradizionali alle categorie costituzionali penali e processuali, perché il carattere innovativo della messa alla prova «segna un ribaltamento dei tradizionali sistemi di intervento sanzionatorio».
Se è vero che nel procedimento di messa alla prova manca una condanna, è anche vero che correlativamente manca un’attribuzione di colpevolezza: nei confronti dell’imputato e su sua richiesta (non perché è considerato colpevole), in difetto di un formale accertamento di responsabilità, viene disposto un trattamento alternativo alla pena che sarebbe stata applicata nel caso di un’eventuale condanna. La possibilità di chiedere i riti speciali, e in particolare il patteggiamento o la messa alla prova, costituisce, come generalmente si ritiene, una delle facoltà difensive e appare illogico considerare costituzionalmente illegittimi per la violazione delle garanzie riconosciute all’imputato questi procedimenti che sono diretti ad assicurargli un trattamento più vantaggioso di quello del rito ordinario.

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