Il Consiglio di Stato ritiene legittimo un provvedimento inibitorio alla detenzione di armi per abusivo svolgimento di attività venatoria da parte del titolare della licenza. Si è, in particolare, sostenuto che il ritiro dell’autorizzazione debba ritenersi giustificato in presenza di qualsiasi elemento di fatto potenzialmente idoneo a far sorgere un ragionevole dubbio sul possibile abuso delle armi detenute. Attesa la mancanza nell’ordinamento costituzionale italiano di un diritto di portare armi e l’esistenza del conseguente divieto di detenzione delle armi, è evidente che il potere di rilasciare le relative licenze può e deve risultare “operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse” (Corte Cost., sent. n. 440/1993). Ne deriva un controllo dell’autorità amministrativa certamente più penetrante rispetto a quello che si registra in relazione a provvedimenti permissivi di tipo diverso. La ratio sottesa risiede nella esigenza di tutelare, in via preventiva, la sicurezza pubblica e l’incolumità dei cittadini. Richiamando più recente giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., sent. n. 109/2019), i giudici di Palazzo Spada hanno ricordato, infatti, il necessario bilanciamento tra l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica. Dunque, soltanto a seguito di un giudizio che tenga conto di tale analisi comparativa ed in ipotesi di assoluta sicurezza circa il buon uso delle armi e la completa attendibilità del soggetto interessato, è possibile derogare al divieto di detenere armi. In tale valutazione, la tutela della sicurezza pubblica riveste certamente un ruolo prevalente, anche a fronte di un ragionamento di tipo solo probabilistico.
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