L’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, e l’articolo 3, lettere a) e b), del regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, devono essere interpretati nel senso che, ai fini della determinazione della residenza abituale, ai sensi di tali disposizioni, non è idonea a costituire un elemento determinante la qualità di agenti contrattuali dell’Unione europea dei coniugi di cui trattasi, con sede di servizio in una delegazione di quest’ultima presso uno Stato terzo e rispetto ai quali si afferma che godono dello status diplomatico in detto Stato terzo. L’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 2201/2003 deve essere interpretato nel senso che, ai fini della determinazione della residenza abituale di un minore, il collegamento costituito dalla cittadinanza della madre nonché dalla residenza di quest’ultima, precedente alla celebrazione del matrimonio, nello Stato membro cui appartiene l’autorità giurisdizionale investita di una domanda in materia di responsabilità genitoriale non è rilevante, mentre è insufficiente la circostanza che i figli minorenni siano nati in tale Stato membro e ne possiedano la cittadinanza. Nel caso in cui nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente a decidere su una domanda di scioglimento del vincolo matrimoniale in forza degli articoli da 3 a 5 del regolamento n. 2201/2003, l’articolo 7 di tale regolamento, in combinato disposto con l’articolo 6 del medesimo, deve essere interpretato nel senso che il fatto che il convenuto nel procedimento principale sia cittadino di uno Stato membro diverso da quello cui appartiene l’autorità giurisdizionale adita impedisce l’applicazione della clausola relativa alla competenza residua di cui a suddetto articolo 7 per fondare la competenza dell’autorità giurisdizionale in parola, senza tuttavia ostare a che le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cui egli è cittadino siano competenti a conoscere di una siffatta domanda in applicazione delle norme nazionali sulla competenza di quest’ultimo Stato membro. Nel caso in cui nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro sia competente a decidere su una domanda in materia di responsabilità genitoriale ai sensi degli articoli da 8 a 13 del regolamento n. 2201/2003, l’articolo 14 di detto regolamento deve essere interpretato nel senso che il fatto che il convenuto nel procedimento principale sia cittadino di uno Stato membro diverso da quello cui appartiene l’autorità giurisdizionale adita non osta all’applicazione della clausola relativa alla competenza residua prevista da tale articolo 14. L’articolo 7 del regolamento n. 4/2009 deve essere interpretato nel senso che: nel caso in cui la residenza abituale di tutte le parti della controversia in materia di obbligazioni alimentari non si trovi in uno Stato membro, la competenza fondata, in casi eccezionali, sul forum necessitatis, di cui a detto articolo 7, può essere constatata se nessuna autorità giurisdizionale di uno Stato membro è competente ai sensi degli articoli da 3 a 6 del regolamento in parola, se il procedimento non può ragionevolmente essere intentato o svolto nello Stato terzo con il quale la controversia ha uno stretto collegamento, o si rivela impossibile in esso, e se tale controversia presenta un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita; per ritenere, in casi eccezionali, che un procedimento non possa ragionevolmente essere intentato o svolto in uno Stato terzo, occorre che, al termine di un’analisi circostanziata degli elementi addotti in ciascun caso di specie, l’accesso alla giustizia in tale Stato terzo sia, in diritto o in fatto, ostacolato, in particolare mediante l’applicazione di condizioni procedurali discriminatorie o contrarie alle garanzie fondamentali dell’equo processo, senza che occorra che la parte che si avvale di detto articolo 7 sia tenuta a dimostrare di aver intentato, o cercato di intentare, invano tale procedimento dinanzi ai giudici del medesimo Stato terzo; e per ritenere che una controversia debba presentare un collegamento sufficiente con lo Stato membro dell’autorità giurisdizionale adita, è possibile fondarsi sulla cittadinanza di una delle parti.
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