La Corte costituzionale ha escluso che la quarantena imposta ai contagiati da Covid-19 violi la loro libertà personale, limitandosi a restringerne solo la libertà di circolazione (art. 16 Cost). (Corte cost., sent. 7 aprile 2022 – 26 maggio 2022, n. 127)

Con la sentenza n. 127 del 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate – in riferimento all’art. 13 Cost. – dal Tribunale di Reggio Calabria su alcune disposizioni del d. l. n. 33 del 2020, nella parte in cui hanno introdotto sanzioni penali nei confronti di chi, risultato positivo al Covid e sottoposto alla quarantena obbligatoria, lasci la propria dimora o abitazione. Il dubbio del giudice rimettente nasce dall’assunto secondo cui una misura così limitativa della facoltà di libera locomozione da impedire l’uscita dalla propria abitazione durante la malattia, non possa che ricadere nella sfera giuridica della libertà personale, al pari di misure che il giudice a quo reputa del tutto affini quanto al grado di afflittività (arresti domiciliari, detenzione domiciliare, ovvero misure alternative alla detenzione). La Corte costituzionale, richiamandosi alla propria precedente e consolidata giurisprudenza in materia, ha invece precisato che qualora “il legislatore intervenga sulla libertà di locomozione, indice certo per assegnare tale misura all’ambito applicativo dell’art. 13 Cost. (e non dell’art. 16 Cost.) è che essa sia non soltanto obbligatoria (tale, vale a dire, da comportare una sanzione per chi vi si sottragga), ma anche tale da richiedere una coercizione fisica”. Non è questo il caso dell’obbligo di quarantena per
provvedimento dell’autorità sanitaria imposto a chi sia risultato positivo al virus Covid-19, in quanto il divieto di uscire dalla propria abitazione o dimora “non viene direttamente accompagnato da alcuna forma di coercizione fisica, né in fase iniziale, né durante la protrazione di esso per il corso della malattia”, non potendogli impedire fisicamente di lasciare la dimora stessa, né potendo arrestarlo in conseguenza di tale violazione. E deve, inoltre, escludersi che le norme censurate realizzino fattispecie di “violenza morale” (anch’essa vietata dalla garanzia costituzionale di cui all’art. 13 Cost.), in quanto “l’accertamento dello stato di positività non si
congiunge ad alcuno stigma morale, e non può cagionare mortificazione della pari dignità sociale, anche alla luce del fatto che si tratta di una condizione condivisa con milioni di individui, accomunati da null’altro che dall’esposizione ad un agente patogeno trasmissibile per via aerea”.
Dunque, anche sotto tale profilo, la disposizione impugnata “non determina alcuna degradazione giuridica di chi vi sia soggetto e quindi non incide sulla libertà personale”. La Corte ha, infine, escluso che la misura dell’isolamento sia in alcun modo paragonabile a quelle degli arresti
domiciliari e della detenzione domiciliare, richiamate dal Tribunale di Reggio Calabria. Queste ultime, infatti, appartenendo alla sfera del diritto penale, sono entrambe instaurate, o ripristinate, anche con il ricorso alla forza fisica, mentre la circostanza di avere contratto il virus Sars-Cov-19
non comporta valutazioni sulla responsabilità personale. Pertanto, il fatto che la norma incriminatrice stabilisca che l’isolamento consegue a un provvedimento dell’autorità sanitaria non comporta la necessità costituzionale che tale provvedimento sia convalidato dal giudice ai sensi
dell’articolo 13 Cost.

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