La Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili per carenza di rilevanza le questioni sollevate dalla Corte di Cassazione, ha affermato che – in assenza di esercizio della facoltà di deroga prevista dalle Direttive UE 2003/109 e 2011/98 – il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al soggiornante di lungo periodo non può essere rifiutato o ridotto per il motivo che i suoi familiari o taluni di essi risiedano in un Paese terzo, quando invece tale beneficio è riconosciuto ai cittadini italiani indipendentemente dal luogo in cui i loro familiari risiedono. Nella prospettiva del primato del diritto dell’Unione diversamente da quanto assume la Corte di cassazione, alle norme di diritto europeo contenute negli artt. 11, paragrafo 1, lettera d), della Direttiva 2003/109/CE e 12, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva 2011/98/UE, deve riconoscersi effetto diretto nella parte in cui prescrivono l’obbligo di parità di trattamento tra le categorie di cittadini di Paesi terzi individuate dalle medesime Direttive e i cittadini dello Stato membro in cui costoro soggiornano. Si tratta di un obbligo imposto dalle direttive richiamate in modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale dotato di effetto diretto: pertanto, ad esso corrisponde il diritto del cittadino di paese terzo – rispettivamente titolare di permesso di lungo soggiorno o titolare di un permesso unico di soggiorno e di lavoro – a ricevere le prestazioni sociali alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro.
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