La Corte EDU sui procedimenti di assoluzione di ufficiali precedentemente condannati per crimini legati all’Olocausto (CEDU, sez. IV, sent. 23 aprile 2024, ric. n. 42917/16)

La questione sottoposta all’esame della Corte di Strasburgo trae origine dall’assoluzione di due
ufficiali militari, precedentemente condannati per crimini legati all’Olocausto, in un procedimento
di appello straordinario non divulgato ai ricorrenti, in quanto vittime dell’Olocausto, né tantomeno
al pubblico; tra i parametri convenzionali evocati figurano, tra gli altri, gli artt. 8 e 14 della CEDU.
Per quanto riguarda le nozioni di “vita privata” e di autonomia personale, compresa l’identità
etnica, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, la Corte fa riferimento ai principi generali già
enunciati nelle cause riguardanti dichiarazioni pubbliche di carattere antisemita che stereotipino
negativamente un gruppo etnico minoritario, ritenendo che qualora tali affermazioni raggiungano
un certo livello di gravità, possano essere considerate come incidenti sulla vita privata dei singoli
membri del gruppo. Per quanto riguarda invece l’articolo 14 della Convenzione, la Corte ricorda che la discriminazione fondata sulla propria etnia, effettiva o percepita, costituisce una forma di discriminazione razziale particolarmente odiosa e, viste le sue pericolose conseguenze, esige dalle autorità particolare
vigilanza e una reazione vigorosa. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno affermato di essersi sentiti umiliati e traumatizzati a causa della revisione di fatti storicamente e giudizialmente accertati e, a loro avviso, i provvedimenti di assoluzione erano equivalsi a una negazione della violenza di matrice etnica di cui erano stati vittime durante l’Olocausto.
In proposito, esaminata la motivazione delle decisioni di assoluzione dei due ufficiali, la Corte
osserva che le conclusioni della Corte Suprema di Giustizia possono oggettivamente essere viste
come scuse o tentativi per offuscare la responsabilità e addossare interamente la colpa
dell’Olocausto ad un’altra nazione, contrariamente a quanto comunemente affermato dai fatti
storici – tutti elementi di negazione e distorsione dell’Olocausto. Inoltre, per quanto riguarda la presunta mancata informazione del pubblico o dei ricorrenti dell’avvio dei ricorsi straordinari e delle assoluzioni, la Corte rileva che i nuovi processi riguardavano innegabilmente una questione di massima rilevanza pubblica per cui era necessario che la collettività e quindi anche i ricorrenti (in quanto sopravvissuti all’Olocausto) fossero informati del procedimento e del suo esito.
In conclusione, la Corte constata che le autorità non hanno mai portato ufficialmente all’attenzione
del pubblico le predette assoluzioni tanto che i ricorrenti ne vennero a conoscenza per caso solamente molti anni dopo. La Corte ritiene che questi elementi, unitamente alle conclusioni raggiunte dalla Corte Suprema di Giustizia, avrebbero potuto legittimamente provocare nei ricorrenti sentimenti di umiliazione e vulnerabilità e causare alle vittime danni psicologici. Alla luce di quanto osservato, la Corte ha concluso nel senso di ritenere che le autorità nazionali non abbiano fornito ragioni pertinenti e sufficienti a fondamento della revisione delle condanne storiche per crimini connessi con l’Olocausto, negando la responsabilità dei funzionari statali (in contraddizione con i principi del diritto internazionale). Vi è stata quindi violazione dell’articolo 8 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 14.

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