Il caso deciso dalla Corte Edu concerne la violazione dell’art. 9 della Convenzione in relazione ad una sanzione amministrativa inflitta alla ricorrente la quale, testimone di Geova, aveva predicato della Bibbia con una terza persona a casa di quest’ultima. Come ribadito dalla Corte, la libertà di pensiero, coscienza e religione è uno dei fondamenti di una società democratica e questa libertà, nella sua dimensione religiosa, costituisce uno degli elementi più vitali che costituiscono l’identità dei credenti e la loro concezione della vita, ma è anche un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici e gli indifferenti. Tale libertà comporta, in particolare, la libertà di avere o meno una convinzione religiosa e di praticare o non praticare una religione. La libertà di manifestare la propria religione comprende, in linea di principio, il diritto di esprimere le proprie opinioni religiose comunicandole ad altri e il diritto di “cercare di convincere il prossimo”, ad esempio attraverso l’“insegnamento”, in mancanza del quale “la libertà di cambiare religione o credo”, sancita dall’articolo 9, rischierebbe di rimanere lettera morta. L’atto di impartire informazioni su un particolare insieme di credenze ad altri che non le credono – noto come lavoro missionario o evangelizzazione nel cristianesimo – è protetto dall’articolo 9 insieme ad altri atti di culto, come lo studio collettivo e la discussione di testi religiosi, che sono aspetti della pratica di una religione o di un credo in una forma generalmente riconosciuta. In ogni caso, il diritto di esercitare una convinzione religiosa può essere legittimamente limitato laddove esso implichi forme di coercizione o violenza. Alla luce dei principi giurisprudenziali qui richiamati, la Corte ha ritenuto nel caso di specie che la decisione di imporre una sanzione amministrativa alla ricorrente per aver comunicato informazioni su un particolare insieme di convinzioni a una persona che non le condivideva abbia costituito un’interferenza con il suo diritto alla libertà di religione, come garantito dall’articolo 9 § 1 della Convenzione; una interferenza che, per di più, non vantava alcuna base giuridica chiara e prevedibile.
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