L’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e l’articolo 40, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale, devono essere interpretati nel senso che qualsiasi sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, ivi compresa una sentenza che si limiti ad interpretare una disposizione del diritto dell’Unione già in vigore al momento dell’adozione di una decisione concernente una domanda precedente, costituisce un elemento nuovo, ai sensi delle disposizioni sopra citate, indipendentemente dalla data in cui essa è stata pronunciata, qualora aumenti in modo significativo la probabilità che al richiedente possa essere riconosciuto il beneficio di una protezione internazionale. L’articolo 46, paragrafo 1, lettera a), ii), della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso permette, ma non impone, che gli Stati membri conferiscano ai loro giudici, quando questi annullano una decisione che rigetta una domanda reiterata in quanto inammissibile, il potere di decidere loro stessi su tale domanda, senza dover rinviare l’esame della stessa all’autorità accertante, a condizione che i giudici suddetti rispettino le garanzie previste dal capo II della direttiva di cui sopra.
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