La Corte costituzionale, con sent. n. 197/2023, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 577, co. 3, c.p., ritenendo che il divieto assoluto posto al giudice di valutare l’eventuale prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto all’aggravante dei rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio, determini una violazione dei principi di parità di trattamento di fronte alla legge, di proporzionalità e individualizzazione della pena sanciti dagli articoli 3 e 27 della Costituzione. Le questioni sollevate (la prima dalla Corte d’assise di Cagliari, le altre due dalla corte d’assise d’appello di Torino) riguardavano tre casi in cui il fatto criminoso poteva in concreto essere valutato applicando sia le attenuanti generiche sia quella della provocazione, ma il bilanciamento tra di esse, nel caso di rapporti familiari tra autore e vittima dell’omicidio, è assolutamente vietato al giudice dal 3° comma del cit. art. 577 c.p.: nel caso, infatti, delle specifiche aggravanti ivi previste, il giudice non può considerare prevalenti, rispetto ad esse, la generalità delle circostanze attenuanti. Invero, la Corte costituzionale ha evidenziato, in proposito, che attraverso il flessibile strumento del bilanciamento tra le circostanze, il nostro ordinamento consente al giudice di
commisurare una pena maggiormente calibrata rispetto all’intensità del disvalore della singola condotta omicida, nel rispetto dei principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost., nonché di tener conto di ulteriori circostanze che – pur non incidendo sul minor grado di disvalore oggettivo o soggettivo del fatto di reato – esprimono tuttavia una minore necessità di applicare una pena nei confronti del suo autore, in considerazione ad esempio della sua condotta successiva al reato. La stessa recente giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che il fatto ingiusto debba essere integrato non soltanto da una puntuale condotta della vittima che immediatamente preceda la reazione dell’autore del reato, ma anche da una serie di condotte prevaricatrici susseguitesi nel tempo che, cumulativamente considerate, siano in grado di spiegare la reazione del provocato; e ciò anche quando il singolo episodio scatenante, isolatamente considerato, non possa essere ritenuto adeguato a spiegare l’entità della reazione. Poiché, dunque, la disposizione censurata determina una drastica limitazione del potere del giudice di calibrare la pena al disvalore effettivo del fatto compiuto, precludendogli di considerare prevalenti tanto la provocazione, quanto le attenuanti generiche, rispetto all’aggravante dell’avere commesso il fatto in un contesto familiare o para-familiare, ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale “nella parte in cui vieta al giudice di
ritenere prevalenti le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62, primo comma, numero 2), e 62-bis cod. pen.”.