Non è compatibile con la Costituzione il differimento della corresponsione del T.F.S.. Intollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa a rimuoverlo gradualmente (Corte cost., sent. 19-23 giugno 2023, n. 130)

Con la sent. n. 130 del 2023 la Corte costituzionale, nel dichiarare inammissibili – in riferimento
all’art. 36 Cost. – le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal T.A.R. Lazio, sez. III quater,
dell’art. 3, comma 2, d.l. n. 79 /1997, come convertito, e dell’art. 12, co. 7, del d.l. n. 78/2010, come
convertito, (rispettivamente, differimento e rateizzazione delle prestazioni), ha tuttavia ritenuto
costituzionalmente incompatibile il differimento della corresponsione del trattamento di fine
servizio (c.d. T.F.S.) spettante ai dipendenti pubblici cessati dal rapporto di lavoro per raggiunti
limiti di età o di servizio. Pur ammettendo il ricorso al pagamento differito dell’indennità di fine
servizio in caso di cessazione anticipata dall’impiego, perché corrispondente alla ratio di
disincentivare i pensionamenti anticipati e di promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa
(sentenza n. 159 del 2019), nel caso della prima fattispecie, il differimento si pone in contrasto con il
principio della giusta retribuzione (art. 36 Cost.) che “si sostanzia non solamente nella congruità
dell’ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione” (sentenza n. 159 del 2019). La
Corte riconosce di non potere “allo stato, porre rimedio, posto che il quomodo delle soluzioni attinge alla
discrezionalità del legislatore”, aggiungendo poi che il legislatore dovrebbe formulare “una soluzione
che, in ossequio ai richiamati principi di adeguatezza della retribuzione, di ragionevolezza e proporzionalità, si sviluppi muovendo dai trattamenti meno elevati per estendersi via via agli altri”. Infatti, la disciplina attualmente in vigore, calibrata su una progressione graduale delle dilazioni, via via più ampie in proporzione all’incremento dell’ammontare della prestazione, finisce per “aggravare il vulnus sopra
evidenziato”. La Corte costituzionale sottolinea, in particolare, che “la discrezionalità del legislatore
non è temporalmente illimitata”: il pagamento differito di dodici mesi non risulta ormai più
rispettoso né del requisito della temporaneità, né dei limiti posti dai principi di ragionevolezza e di
proporzionalità, finendo per vanificare la duplice funzione retributiva e previdenziale delle
indennità di fine servizio. Di conseguenza, l’eliminazione del meccanismo del pagamento differito
diventa un’esigenza pressante: non sarebbe, infatti, tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia
legislativa, ancor più alla luce della crescente pressione inflazionistica e del mancato
riconoscimento della rivalutazione monetaria.

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