Incompatibile con la costituzione la legge “radicalmente oscura”(Corte costituzionale, sent. 5 giugno 2023, n. 110)

La Corte costituzionale nella sentenza n. 110 ha affermato che le leggi “irrimediabilmente oscure”,
che determinano una “intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta”, sono in contrasto
con il principio di ragionevolezza fondato sull’art. 3 della Costituzione. La Corte, accogliendo il
ricorso del Governo, ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione in materia
edilizia contenuta in una legge della Regione Molise. Tale disposizione stabiliva l’ammissibilità di
non meglio precisati “interventi” all’interno di “fasce di rispetto” contenute nelle “aree di piano”,
senza precisare a quali piani facesse riferimento. L’ammissibilità di tali interventi, d’altra parte, era
prevista “previa V.A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto”: espressione giudicata
incomprensibile dalla Corte, anche a fronte della circostanza che la Regione aveva assegnato
all’acronimo “V.A.” due significati diversi (“valutazione ambientale” e “verifica di ammissibilità”)
nelle proprie stesse difese. Infine, la disposizione in questione non si inseriva in alcuna legge
preesistente, restando per così dire “sospesa nel vuoto”: ciò che rendeva impossibile lo stesso
tentativo di interpretare i suoi requisiti alla luce dello specifico contesto normativo di riferimento.
Dopo aver richiamato, in particolare, le proprie precedenti sentenze in materia di sufficiente
precisione delle norme penali e delle leggi che impongono limiti ai diritti fondamentali della
persona, la Corte ha osservato che anche rispetto alle disposizioni che regolano la generalità dei
rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini “ciascun consociato ha un’ovvia aspettativa a
che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi
diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela”. D’altra parte, ha proseguito la Corte, “una norma
radicalmente oscura vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in
violazione del principio di legalità e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le
condizioni per un’applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parità di
trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell’art. 3 Cost.”.
Alla luce di questi criteri, la Corte ha concluso nel senso della illegittimità costituzionale della legge
regionale impugnata, che non era in grado di fornire “alcun affidabile criterio guida alla pubblica
amministrazione nella valutazione se assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato”, e
rendeva arduo al privato “lo stesso esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio contro
l’eventuale provvedimento negativo della pubblica amministrazione, proprio in ragione
dell’indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l’uso
arbitrario della discrezionalità amministrativa”.

Redazione Autore