La Corte EDU si pronuncia sul caso di una cittadina azera, la quale ha lamentato la violazione dell’art. 8 della Convezione e, segnatamente, la violazione del diritto alla sua reputazione. Più in particolare, la ricorrente – in seguito alla sua nomina di primario presso l’ospedale centrale del distretto di Gazakh – ha subito, da parte di alcuni quotidiani nazionali, diversi attacchi denigratori. Le notizie divulgate riferivano passate vicende riguardanti il fratello della ricorrente coinvolto anni prima in un tentato colpo di Stato e, per questo, condannato all’ergastolo. In seguito a tali pubblicazioni la ricorrente è stata licenziata e di qui non solo la pretesa reintegrazione nel posto di lavoro ma anche l’esperimento di un’azione risarcitoria avviata nei confronti del giornale, che i tribunali nazionali hanno rigettato. Nel merito i Giudici di Strasburgo hanno osservato che l’art. 8 della Convenzione richiede sempre il giusto contemperamento tra i pertinenti interessi concorrenti che, in questo caso, sono il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla libertà di espressione. Per la Corte, lo scopo principale di tutti gli articoli pubblicati è stato quello di attaccare personalmente la ricorrente, poiché le dichiarazioni non criticavano né le capacità professionali né la sua condotta, e ha ritenuto le brevi argomentazioni fornite dai tribunali nazionali insufficienti a dimostrare se le dichiarazioni rese fossero compatibili con l’etica del giornalismo e se avessero oltrepassato i limiti consentiti della libertà di espressione. A giudizio della Corte, quindi, quel giusto esercizio di bilanciamento tra gli interessi in gioco non è stato adeguatamente operato e, per conseguenza, ha ritenuto violato l’articolo 8 della Convenzione.
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