La Corte EDU su un caso di neutral gender e obblighi positivi dello Stato (CEDU, sez. V, sent. 31 gennaio 2023, ric. n. 76888/17)

La causa riguarda il rifiuto delle autorità nazionali di sostituire la menzione “sesso maschile” con le parole “neutro” o “intersessuale” dal certificato di nascita del ricorrente, il quale ha dichiarato di appartenere a quella categoria di persone che presentano caratteristiche sessuali (genitali, gonadiche o cromosomiche) che non si adattano alle tipiche definizioni binarie maschile o femminile. Sulla base della documentazione esibita si evince che il ricorrente è persona con manifeste diversità dello sviluppo sessuale, tali da determinare una certa ambiguità sessuale. Egli ha perciò lamentato la violazione dell’art. 8 CEDU, poiché il suo incontestato stato di intersessualità sia biologico che psicologico rientra nell’ambito della sfera della sua vita privata e ha sostenuto che il rifiuto opposto dalle autorità nazionali non trova alcun fondamento giuridico. Per la Corte di Strasburgo l’identità personale e sessuale rientra nel diritto al rispetto della privacy e la nozione di autonomia personale incarna a pieno le garanzie dell’articolo 8 della Convenzione. Ciò premesso, nel caso di specie, essa ha valutato se, respingendo la richiesta del ricorrente, lo Stato convenuto abbia o meno disatteso il proprio obbligo positivo di garantire al ricorrente un effettivo rispetto della sua vita privata e se abbia debitamente soppesato l’interesse generale rispetto agli interessi del ricorrente. Di conseguenza, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che le ragioni dedotte dalle autorità nazionali, fondate essenzialmente sul rispetto del principio di indisponibilità dello stato personale e sulla necessità di preservare la coerenza e la sicurezza degli atti di stato civile nonché quello sociale del sistema francese, sono rilevanti. E che il riconoscimento da parte del giudice di una “identità di sesso neutro” avrebbe profonde ripercussioni sulle norme del diritto francese costruite sulla base del binarismo dei sessi e comporterebbe numerose modifiche legislative di coordinamento che richiedono l’intervento del Legislatore nazionale. A fortiori, ha osservato la Corte, in assenza di un consenso europeo in materia, deve essere lasciato allo Stato convenuto determinare in che misura sia opportuno rispondere alle richieste delle persone intersessuali e, in ragione di ciò, non ha riscontrato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

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