La regola interna di un’impresa che vieta di indossare in modo visibile segni religiosi, filosofici o spirituali non costituisce una discriminazione diretta se applicata in maniera generale e indiscriminata (CGUE, Seconda sezione, 13 ottobre 2022, C-344/20)

L’articolo 1 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che l’espressione «religione o (…) convinzioni personali» ivi contenuta costituisce un solo e unico motivo di discriminazione che comprende tanto le convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che una disposizione di un regolamento di lavoro di un’impresa che vieta ai dipendenti di manifestare verbalmente, con l’abbigliamento o in qualsiasi altro modo, le loro convinzioni religiose o filosofiche, di qualsiasi tipo, non costituisce, nei confronti dei dipendenti che intendono esercitare la loro libertà di religione e di coscienza indossando visibilmente un segno o un indumento con connotazione religiosa, una discriminazione diretta «basata sulla religione o sulle convinzioni personali», ai sensi di tale direttiva, a condizione che tale disposizione sia applicata in maniera generale e indiscriminata. L’articolo 1 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che disposizioni nazionali che garantiscono la trasposizione di tale direttiva nel diritto nazionale, le quali sono interpretate nel senso che le convinzioni religiose e le convinzioni filosofiche costituiscono due motivi di discriminazione distinti, possano essere considerate, «per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste [in tale direttiva]», ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, di quest’ultima.

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