La Corte EDU ha deciso il ricorso presentato da due cittadini estoni, i quali hanno lamentato la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, poiché durante il periodo della detenzione in custodia cautelare è stato limitato loro il diritto alle visite familiari a lungo termine in misura maggiore rispetto ai diritti delle persone condannate con pena detentiva. Per il governo la differenza di trattamento tra detenuti in custodia cautelare e condannati, sotto il profilo della loro capacità di ricevere visite, si collegava alle diverse situazioni e alle peculiari esigenze procedimentali. La Corte EDU, invece, ha sin da subito osservato come i ricorrenti si trovassero in una situazione analoga a quella dei condannati e che, per conseguenza, l’art. 14 CEDU dovesse applicarsi al caso di specie, in combinato disposto con l’art. 8. Tanto premesso, il giudice di Strasburgo ha valutato poi se la restrizione fosse giustificata da particolari circostanze. A tal riguardo, ha ribadito che una disparità di trattamento è discriminatoria quando non sia fondata su oggettive e ragionevoli giustificazioni, non persegua uno scopo legittimo e se non esista un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e le finalità da perseguire. Movendo da questa considerazione, la Corte ha analizzato se le motivazioni addotte dai giudici nazionali fossero ragionevoli e tali da giustificare l’applicazione di siffatte restrizioni. E se, per un verso, essa ha riconosciuto che limitazioni ai diritti di contatto, compresi gli incontri con i familiari, durante la custodia cautelare possano, in quanto tali, servire al legittimo scopo di garantire un’indagine penale senza ostacoli; per altro verso, la Corte ha indagato sulla effettiva esistenza di un ragionevole rapporto di proporzionalità. Sotto tale aspetto ha ritenuto che, sebbene il divieto applicato fosse plausibile – date le circostanze del caso –, l’estensione dello stesso dopo la progressiva rimozione delle altre restrizioni alle comunicazioni, compresa quella con le persone detenute nel contesto dello stesso procedimento penale non fosse ragionevolmente giustificata. E per conseguenza che c’è stata una violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della Convenzione. La medesima conclusione ha riguardato anche la posizione del secondo ricorrente, rispetto alla quale è stata analogamente e altresì evidenziata la carenza del quadro normativo nazionale.
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