R.E.M.S.: per la Corte costituzionale la disciplina vigente presenta numerosi profili di frizione con i principi costituzionali. Forte monito al legislatore perché proceda a una complessiva riforma del sistema (Corte cost., sent. 16 dicembre 2021 – 27 gennaio 2022, n. 22)

Con la sentenza n. 22 del 2022 la Corte costituzionale fa il punto sulla disciplina in materia delle c.d. R.E.M.S. (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), già oggetto di apposita istruttoria disposta, con ord. 24.06.2021, n. 131, dagli stessi giudici costituzionali al fine di acquisire una serie di informazioni concernenti il funzionamento concreto del sistema delle REMS, introdotto a partire dal 2012 in sostituzione di quello degli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari). La Corte precisa innanzitutto che l’assegnazione a una REMS – così come configurata in concreto nell’ordinamento – non può essere considerata come una misura di natura esclusivamente sanitaria, distinguendosi dagli altri ordinari trattamenti sanitari della salute mentale. Costituisce infatti, a tutti gli effetti, una nuova misura di sicurezza, ispirata ad una logica di fondo assai diversa rispetto al ricovero in OPG o all’assegnazione a casa di cura o di custodia. Essa consiste in una misura limitativa della libertà personale – il che è evidenziato già dalla circostanza che al soggetto interessato può essere legittimamente impedito di allontanarsi dalla REMS – ma anche se, nel corso della sua esecuzione possono essere praticati al paziente trattamenti sanitari coattivi, ossia attuabili nonostante l’eventuale volontà contraria del paziente, questi non sono assimilabili ai trattamenti sanitari obbligatori per malattia mentale. La natura “ancipite” di misura di sicurezza a spiccato contenuto terapeutico comporta, peraltro, la necessità che l’assegnazione a una REMS si conformi ai principi costituzionali dettati, da un lato, in materia di misure di sicurezza e, dall’altro, in materia di trattamenti sanitari obbligatori. L’attuale disciplina in materia di REMS rivela però evidenti profili di frizione con tali principi, a cominciare dalla garanzia della riserva di legge. E infatti, l’attuale normativa in materia di REMS è solo in minima parte affidata alla legge, essendo invece prevalentemente rimessa a fonti secondarie, nonché ad intese tra Stato e istituzioni locali, che producono un’elevata disomogeneità tra Regioni. La Corte ha, poi, rilevato la problematicità dell’esistenza di lunghe liste d’attesa nell’esecuzione di provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria nei confronti di autori di reato sul presupposto della loro pericolosità sociale, con il risultato di ledere da un lato il diritto fondamentale del soggetto affetto da patologia psichica alla cura, dall’altro quello alla incolumità delle potenziali vittime di aggressione. Particolarmente critica è, poi, la valutazione della totale estromissione del Ministro della Giustizia da ogni competenza in materia di REMS – e dunque in materia di esecuzione di misure di sicurezza disposte dal giudice penale – in quanto incompatibile con l’articolo 110 della Costituzione, che assegna al Guardasigilli la responsabilità dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Dato però il pericolo che dalla caducazione del sistema delle REMS derivi “un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti”, la Corte costituzionale ha evitato la declaratoria di incostituzionalità della relativa disciplina, optando per un severo monito al legislatore affinché proceda ad una complessiva riforma di sistema, che assicuri, al contempo: – un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza (punto 5.3) – la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di REMS sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio (punto 5.4.); – forme di adeguato coinvolgimento del Ministro della giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle REMS esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale attivabili nel quadro della diversa misura di sicurezza della libertà vigilata, nonché nella programmazione del relativo fabbisogno finanziario, anche in vista dell’eventuale potenziamento quantitativo delle strutture esistenti o degli strumenti alternativi (punto 5.5.). La Corte conclude con l’avvertimento al legislatore che, come avvenuto in precedenti occasioni, “non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine ai gravi problemi individuati dalla presente pronuncia”.

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