La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 41-bis, co. 2-quater, lett. c), ord. penit. nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione al visto di censura la corrispondenza intrattenuta dai detenuti sottoposti al “carcere duro” con i difensori. Più specificamente la Corte, valutando tale misura nel più ampio contesto delle altre previste dal comma 2-quater dell’art. 41-bis ord. penit., ha rilevato che la disposizione de qua si appalesa del tutto inidonea a impedire che il detenuto o l’internato possano continuare a intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza, e a svolgere così ancora un ruolo attivo all’interno di tale organizzazione, in particolare impartendo o ricevendo ordini o istruzioni rivolti a, o provenienti da, altri membri del sodalizio; e ciò in quanto “il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, e rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo. Inoltre, la misura – che incide sul diritto fondamentale del detenuto o internato in misura ancora più gravosa rispetto a quella giudicata costituzionalmente illegittima dalla… sentenza n. 143 del 2013, non ponendo meri limiti quantitativi ma potendo addirittura impedire che talune comunicazioni giungano al proprio destinatario – appare certamente eccessiva rispetto allo scopo perseguito, dal momento che sottopone a controllo preventivo tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore. E ciò in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte di quest’ultimo”, oltre a non consentirgli una efficace tutela contro eventuali abusi da parte delle autorità penitenziarie. Tale violazione del diritto di difesa “risulta particolarmente evidente nei confronti dei detenuti meno abbienti. Qualora infatti il detenuto sia stato trasferito in una struttura penitenziaria distante dalla città in cui ha sede il proprio difensore di fiducia, la corrispondenza epistolare potrebbe divenire il principale mezzo a disposizione per comunicare con lo stesso difensore; mentre i detenuti provvisti – anche in ragione della propria posizione apicale nell’organizzazione criminale – di maggiori disponibilità economiche potrebbero assai più agevolmente sostenere i costi e gli onorari connessi ai viaggi del proprio avvocato finalizzati allo svolgimento dei colloqui. Da ciò deriva l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per contrasto con l’art. 24 Cost.”.
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