Obbligo vaccinale per il personale sanitario: la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino il rischio di diffusione del contagio non può coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale del medico non sottoposto a vaccinazione (T.A.R. Lombardia, sez. I, sent. 1 dicembre 2021 – 17 gennaio 2022, n. 109)

Il Collegio riconosce che l’imposizione dell’obbligo vaccinale previsto dall’articolo 4 del decreto legge 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76 costituisce una legittima limitazione del diritto ad esprimere un consenso libero ed informato per il trattamento sanitario, ritenendo che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, l’indifferibile esigenza di affrontare l’emergenza sanitaria in atto e di predisporre idonei ed efficaci strumenti di contenimento dei contagi da Sars-Cov-2 nonché la necessità di consentire a tutti gli individui l’accesso alle cure sanitarie in condizioni di sicurezza e, in applicazione del principio solidaristico, di tutelare la salute individuale dei soggetti fragili, per età o per pregresse patologie, giustifichino il temporaneo e tollerabile sacrificio della piena autonomia decisionale degli esercenti le professioni sanitarie, in ordine alla somministrazione del vaccino. Nel contempo, tuttavia, il Collegio afferma che la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale. Sebbene il Legislatore abbia qualificato la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 come <>, la consistenza degli effetti conseguenti alla carenza di tale requisito essenziale deve essere individuata in applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ed in coerenza con il tenore letterale dell’intero articolo 4, il quale, al comma 6, specifica che gli effetti sfavorevoli conseguenti all’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale consistono nella sospensione non dall’esercizio della professione ma <>. L’interpretazione restrittiva della sospensione dallo svolgimento di una determinata, sebbene assai estesa, tipologia di mansioni, quali quelle che implicano rapporti interpersonali, con i pazienti o con il personale sanitario, è l’unica compatibile con la salvaguardia del diritto di svolgere la professione sanitaria, il quale deve temporaneamente recedere a fronte della realizzazione del fine primario perseguito dalla norma, che è quello <>, nonché con la salvaguardia del diritto di ritrarre dal proprio lavoro un compenso che fornisca le risorse necessarie ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, mediante l’individuazione di limitazioni all’esercizio della professione o dell’attività lavorativa che siano proporzionate allo scopo da raggiungere, in modo che, all’esito del raffronto tra i benefici per il raggiungimento dell’interesse primario ed i sacrifici per gli interessi personali, nessun interesse ne esca inutilmente frustrato. Il Collegio ritiene, pertanto, che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole – sia pure temporaneamente – l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

Redazione Autore