Ai fini dell’integrazione del reato di maltrattamenti rileva solo che gli atti siano avvinti da un vincolo di abitualità, essendo ininfluente che questi siano intervallati da periodi di normalità (Cass. Pen., sez. VI, sent. 15 settembre – 16 novembre 2021, n. 41745)

Il reato di cui all’art. 572 c.p., esige il compimento di una sequenza di fatti, per lo più commissivi, ma anche di natura omissiva, i quali isolatamente considerati possono anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica), ovvero non perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi), o procedibili solo a querela, ma che acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; sicché può affermarsi che la condotta si perfeziona allorché si realizza un minimum di tali
condotte, collegate da un nesso di abitualità; non è necessario che tali atti, delittuosi o meno, vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione anche se perimetrata entro un limitato contesto temporale; mentre non rileva in senso ostativo alla configurabilità del reato, proprio in ragione della sua natura abituale, che durante tale periodo siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di cosiddetta “normalità” e anche di intesa con il soggetto passivo.

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