L’articolo 3 e l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, devono essere interpretati nel senso che non ostano a che uno Stato membro, in base a disposizioni nazionali più favorevoli, riconosca, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, lo status di rifugiato al figlio minore di un cittadino di un paese terzo al quale tale status è stato riconosciuto ai sensi della disciplina stabilita dalla succitata direttiva, anche nel caso in cui detto figlio sia nato nel territorio di detto Stato membro e
possegga, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese terzo nel quale non sarebbe esposto al rischio di persecuzioni, purché al suddetto figlio non sia applicabile un motivo di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della succitata direttiva e questi non abbia diritto, a motivo della sua cittadinanza o di altri elementi che caratterizzano il suo status giuridico personale, in detto Stato membro a un trattamento migliore rispetto a quello derivante dal riconoscimento dello status di rifugiato. Non è rilevante a questo proposito se sia possibile e ragionevolmente accettabile
per tale minore e i suoi genitori stabilirsi nell’anzidetto altro paese terzo.