La Corte costituzionale si è pronunciata sulle questioni sollevate dal Giudice di Pace di Frosinone in relazione ai dd. ll. nn. 6 e 19 del 2020, poi convertiti in legge, in virtù dei quali il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato decreti monocratici (d.P.C.m.) contenenti misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica. La Corte ha innanzitutto ritenuto inammissibili per difetto di rilevanza le questioni riguardanti il d. l. n. 6 del 2020. Ha inoltre rilevato l’infondatezza, in riferimento agli artt. 76, 77 e 78 Cost., delle questioni di legittimità costituzionale concernenti gli artt. 1, 2 e 4 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, in quanto le disposizioni oggetto di censura non hanno conferito al Presidente del Consiglio una funzione legislativa in violazione degli artt. 76 e 77 Cost. né tantomeno poteri straordinari da stato di guerra in violazione dell’art. 78 Cost., ma hanno a questi attribuito unicamente il compito di dare esecuzione alla norma primaria mediante atti amministrativi sufficientemente tipizzati. La tipizzazione delle misure di contenimento operata dal d. l. n. 19 del 2020 è stata corredata dall’indicazione di un criterio che orienta l’esercizio della discrezionalità attraverso i «principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso» (art. 1, comma 2). A tal proposito assume rilievo quanto stabilito dall’ultimo periodo dell’art. 2, comma 1, del citato decreto-legge, e cioè che, «[p]er i profili tecnico-scientifici e le valutazioni di adeguatezza e proporzionalità, i provvedimenti di cui al presente comma sono adottati sentito, di norma, il Comitato tecnico-scientifico di cui all’ordinanza del Capo del dipartimento della Protezione civile 3 febbraio 2020, n. 630, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 32 dell’8 febbraio 2020». La fonte primaria, pertanto, non solo ha tipizzato le misure adottabili dal Presidente del Consiglio dei Ministri, in tal modo precludendo all’autorità di Governo l’assunzione di provvedimenti extra ordinem, ma ha anche imposto un criterio tipico di esercizio della discrezionalità amministrativa, che è di per sé del tutto incompatibile con l’attribuzione di potestà legislativa ed è molto più coerente con la previsione di una potestà amministrativa, ancorché ad efficacia generale. In particolare, la tipizzazione operata dal d. l. n. 19 del 2020 rivela la sua importanza sul piano del sistema delle fonti proprio riguardo alla misura di contenimento la cui violazione è oggetto del giudizio a quo, cioè il divieto di allontanamento dall’abitazione senza giustificato motivo. Il d. l. n. 19 del 2020, a differenza del d. l. n. 6 del 2020, ha infatti specificamente previsto quali misure di contenimento le «limitazioni alla possibilità di allontanarsi dalla propria residenza, domicilio o dimora se non per spostamenti individuali limitati nel tempo e nello spazio o motivati da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute o da altre specifiche ragioni» (art. 1, comma 2, lettera a). Il d.P.C.m. 10 aprile 2020, nel prevedere, all’art. 1, comma 1, lettera a), che «sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute», e nello stabilire, all’art. 8, comma 1, che tutte le disposizioni in esso contenute «producono effetto dalla data del 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020», si è dunque limitato ad adattare all’andamento della pandemia quanto stabilito in via generale dalla fonte primaria. La tassatività delle misure urgenti di contenimento acquisita dal d. l. n. 19 del 2020 induce ad accostare le stesse, per certi versi, agli «“atti” necessitati», in quanto «emessi in attuazione di norme legislative che ne prefissano il contenuto», sicché non è dato riscontrare quella delega impropria di funzione legislativa dal Parlamento al Governo che il rimettente ipotizza nel denunciare la violazione degli artt. 76 e 77 Cost. Quali atti a contenuto tipizzato, le misure attuative del d. l. n. 19 del 2020 si distaccano concettualmente dal modello delle ordinanze contingibili e urgenti, che viceversa rappresentano il paradigma delle “ordinanze necessitate” (a contenuto libero), seguito dal Codice della Protezione civile. D’altronde, come rilevato anche dal Consiglio di Stato in sede consultiva su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per l’annullamento di alcuni d.P.C.m. attuativi del d. l. n. 19 del 2020 (parere 13 maggio 2021, n. 850), la legislazione sulle ordinanze contingibili e urgenti e lo stesso codice della Protezione civile non assurgono al rango di leggi “rinforzate”, sicché il Parlamento ben ha potuto coniare un modello alternativo per il tramite della conversione in legge di decreti-legge che hanno rinviato la propria esecuzione ad atti amministrativi tipizzati. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 37/2021, nel riconoscere che la competenza legislativa per il contenimento della pandemia spetta in esclusiva allo Stato giacché attinente alla «profilassi internazionale» ex art. 117, secondo comma, lettera q), Cost., ha osservato che il modello tradizionale di gestione delle emergenze affidato alle ordinanze contingibili e urgenti, culminato nell’emanazione del Codice della Protezione civile, «se da un lato appare conforme al disegno costituzionale, dall’altro non ne costituisce l’unica attuazione possibile», essendo «ipotizzabile che il legislatore statale, se posto a confronto con un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari, scelga di introdurre nuove risposte normative e provvedimentali tarate su quest’ultima», come appunto accaduto «a seguito della diffusione del COVID-19, il quale, a causa della rapidità e della imprevedibilità con cui il contagio si espande, ha imposto l’impiego di strumenti capaci di adattarsi alle pieghe di una situazione di crisi in costante divenire».
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