La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della comunicazione interdittiva antimafia a seguito di condanna per truffa aggravata ai danni dello Stato (Corte cost., sent. 6 luglio – 30 luglio 2021, n. 178)

Il T.A.R. per il Friuli-Venezia Giulia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 67, co. 8, D. Lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice anti-mafia), come modificato dal d. l. n. 113/2018, nella parte in cui stabilisce che le misure interdittive ivi previste si applichino «anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.» e per i reati previsti dagli artt. 640, co. 2, numero 1), c.p. (truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico), nonché 640-bis c.p. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). La Corte costituzionale ha ritenuto fondate solo le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost. Per quanto concerne il primo parametro, la Corte ha rilevato che il reato di cui all’art. 640-bis c. p. attiene a una fattispecie che non ha natura associativa e non richiede neppure la presenza di un’organizzazione volta alla commissione del reato. Esso ha una dimensione individuale, può riguardare anche condotte di minore rilievo – quale risulta essere quella del giudizio a quo – ed è punito con pene più lievi (massimo edittale di sette anni), senza che vi siano tantomeno deroghe al regime processuale ordinario. E anche se si tratta di un reato che – come argomentato dall’Avvocatura generale dello Stato, può riscontrarsi anche nell’ambito delle attività della criminalità organizzata – la relativa condotta delittuosa ha ben altra portata e non costituisce, di per sé, un indice di appartenenza a un’organizzazione criminale. Per tale ragione, farne dipendere con rigida consequenzialità la ricordata incapacità giuridica ad avere rapporti con le pubbliche amministrazioni appare non proporzionato ai caratteri del reato e allo scopo di contrastare le attività della criminalità organizzata (cfr. Corte cost. sentt. nn. 172/2012 e 141/1996) e risulta, quindi, contrario al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. Altresì violato è l’art. 41 Cost., poiché l’estensione degli effetti interdittivi di cui all’art. 67, comma 8, cod. antimafia anche alle condanne per il delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche provoca danni irragionevolmente elevati alla libertà d’iniziativa economica, sia sul piano patrimoniale, sia sul piano della “reputazione” imprenditoriale, specie per chi svolge attività lavorative e professionali in rapporto con la pubblica amministrazione. Infine, la Corte non ha mancato di precisare che anche per la truffa ai danni dello Stato l’esigenza di prevenire l’infiltrazione mafiosa rimane coperta da altre previsioni legislative: da un lato, infatti, sebbene la truffa stessa non rientri tra i “reati spia” di cui all’art. 84, comma 4, cod. antimafia, una condanna per tale fattispecie può sempre costituire un elemento da cui desumere che il condannato vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; elemento che, ai sensi degli artt. 1, comma 1, lettera b), e 4 cod. antimafia, può portare all’adozione di una misura di prevenzione (con i conseguenti effetti interdittivi). Dall’altro lato, anche per tale delitto, gli artt. 32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena principale quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione, con effetti in parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia.

Redazione Autore