L’interferenza con il diritto alla libertà di espressione deve avere una motivazione altamente pertinente e sufficiente (CEDU, sez. I, sent. 25 marzo 2021, ric. n. 1864/18)

Nel caso in esame la Corte EDU si è pronunciata sull’istanza riguardante la condanna penale del ricorrente, amministratore delegato di una Srl, per diffamazione calunniosa nei confronti dell’ex avvocato della società. Il ricorrente aveva inviato a tale avvocato un documento in cui aveva indicato il suo comportamento come non professionale e contrario all’etica, criticandolo per non averlo informato sui casi giudiziari pendenti della società. Nello specifico il ricorrente lamentava che la condanna penale per diffamazione aveva violato il suo diritto alla libertà di espressione come previsto dall’ art. 10 Conv. Per il governo il ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso nazionali disponibili. Per il ricorrente la condanna non era stata equa dato che i suoi giudizi di valore avevano avuto una base sufficientemente fattuale. Egli ha inoltre sostenuto che tale documento non era stato prodotto per offendere l’avvocato, quanto piuttosto per proteggere gli interessi della società. Nel documento veniva richiesto all’avvocato di informare la società di eventuali cause pendenti, ai sensi del suo obbligo legale. Per il governo la libertà di espressione non includeva il diritto a divulgare fatti che avrebbero potuto danneggiare la reputazione di altri. I tribunali nazionali, a seguito degli esami probatori, avevano concluso che il ricorrente aveva diffuso ad un numero indefinito di persone, informazioni false che avrebbero potuto danneggiare la reputazione dell’avvocato. Per la Corte i tribunali nazionali non hanno fornito ragioni sufficienti per ritenere le informazioni false, ma hanno valutato se le espressioni utilizzate erano state in grado di causare danni ai diritti sulla personalità e la reputazione. La Corte non ha condiviso la conclusione dei tribunali in quanto ha ritenuto che i commenti del ricorrente contenevano una combinazione di giudizi di valore e dichiarazioni di fatto, per i quali il ricorrente ha presentato vari argomenti a sostegno. Per quanto riguarda il modo in cui il ricorrente si è espresso, la Corte ha ritenuto che il linguaggio utilizzato non era forte, vessatorio o smodato. Infine per ciò che attiene al modo di comunicazione delle dichiarazioni, la Corte ha osservato che il documento ufficiale era stato inviato privatamente in modo da non rendere disponibili le dichiarazioni all’esterno. Per i giudici di Strasburgo le gravi sanzioni inflitte al ricorrente potrebbero essere considerate necessarie solo in circostanze eccezionali. In conclusione, tutti questi elementi hanno condotto la Corte a ritenere che le ragioni adottate dai giudici nazionali per giustificare l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione del richiedente, non erano pertinenti e sufficienti, pertanto ha dichiarato che vi è stata una violazione dell’art. 10 Conv.

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