Il Conseil Constitutionnel, su ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione (première chambre civile, n. 821 del 18.12.2020), è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. L. 116-4 del Codice dell’azione sociale e delle famiglie, nel testo risultante dall’ordinanza n. 2016-131 del 10.2.2016 di riforma del diritto dei contratti, del regime generale e della prova delle obbligazioni. Si tratta di una complessa previsione normativa che, in sostanza, vieta a coloro che prestano assistenza in favore di persone vulnerabili (persone anziane, diversamente abili, o per altre ragioni), di rendersi acquirenti di beni o cessionari di diritti appartenenti a queste persone. Il ricorrente rimprovera alla disposizione normativa di essere eccessivamente ampia, vietando alle persone assistite di gratificare coloro che, dietro compenso («contre rémunération»), forniscono assistenza domiciliare. Il divieto di cui alla disposizione normativa non terrebbe in considerazione l’effettiva capacità giuridica o l’esistenza o meno di una particolare vulnerabilità di queste persone, arrecando, così pregiudizio al loro diritto di disporre liberamente del proprio patrimonio, con violazione del diritto di proprietà. Osserva il Conseil che è consentito al legislatore di porre limitazioni al diritto di proprietà privata, ma alle condizioni poste dall’art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, che rispondano, cioè, ad esigenze costituzionali o siano giustificate nell’interesse generale e, dunque, che non siano eccessivamente sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito. La disposizione normativa si collega all’art. L. 7231-1, co. 2, del Codice del lavoro, che disciplina le prestazioni di lavoro a domicilio in favore delle persone anziane, diversamente abili e delle altre persone che hanno bisogno di assistenza domiciliare. Quest’ultima disposizione normativa vieta alle strutture o persone impiegate in queste mansioni di assistenza di ricevere donazioni o legati dalla persona che hanno in carico. Questo divieto di liberalità è, però, limitato al periodo di assistenza del donatore; e non è applicabile in caso di donazioni rimuneratorie per i servizi resi, né, in assenza di eredi in linea retta, nei confronti dei parenti fino al quarto grado. La disposizione oggetto del giudizio di costituzionalità, di conseguenza, limita eccessivamente il diritto delle persone vulnerabili, ove non sussistano effettive ragioni di incapacità, di disporre liberamente del proprio patrimonio. Diritto, questo, che è considerato attributo del diritto di proprietà, che viene, quindi, violato. La mens legis di simili divieti è, comunemente, individuata nell’esigenza di protezione delle persone in condizione di particolare vulnerabilità in quanto bisognose di assistenza, al fine di evitare possibili abusi da parte di coloro che prestano ad esse assistenza, che potrebbero approfittare della condizione di faibless, traendo ingiusti vantaggi. Interesse di protezione, questo, certamente di carattere generale e sovraordinato. Tuttavia, secondo il Conseil, la circostanza che la persona sia anziana o diversamente abile o abbia altre ragioni per ricevere assistenza domiciliare, di per sé non può essere considerata indice di un’alterazione della sua capacità. Così, pure le mansioni o compiti di assistenza domiciliare non sono, di per sé, indice di incapacità del soggetto, in considerazione anche della loro variabilità e durata spesso temporanea. Il divieto opera attraverso una presunzione assoluta di vulnerabilità, non
essendo prevista la possibilità di provare il contrario, ossia l’assenza di vulnerabilità. In ragione di quanto precede, la disposizione normativa incriminata risulta, di conseguenza, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito e, dunque, contraria alla Costituzione.