Nel caso Laptev c. Russia, la Corte EDU ha deciso sulla violazione dell’art. 2 CEDU – sia nella sua portata procedurale che sostanziale – a seguito della denunciata morte del Sig. Laptev (SL), un poliziotto accusato di stupro e, in seguito ad arresto, trattenuto in un centro di detenzione temporanea. All’esito dell’esame autoptico, risultava che la morte fosse stata causata da asfissia meccanica oltre ad essere stati rinvenuti sul corpo del cadavere numerose tracce di lividi ed ematomi. A seguito di tale evento, lo stesso centro di detenzione aveva avviato una indagine interna che conduceva al licenziamento di due guardie, le quali avevano infranto varie regole di sicurezza e sorveglianza dei detenuti. Parimenti, la sezione locale del Comitato investigativo della Russia procedeva ad un’indagine preliminare, concludendo l’inchiesta come caso di suicidio. Alla luce di siffatte risultanze, il fratello di SL adiva le competenti autorità nazionali, eccependo la sussistenza di varie e manifeste incongruenze nella ricostruzione dei fatti da parte dei funzionari penitenziari. Con sentenza di primo grado, molte delle doglianze sollevate erano state ritenute fondate e poco chiare erano risultate alcune circostanze relative alla detenzione di SL e, al successivo, evento letale. La decisione veniva confermata dalla Corte Suprema. Successivamente a tale decisione, l’avvio di procedimenti penali ed ulteriori inchieste aveva incontrato, però, la resistenza delle autorità nazionali, le quali si erano finanche rifiutate di inviare al ricorrente una copia delle risultanze delle indagini comunque svolte, dalle quali emergevano oggettive carenze e violazioni di legge. A questa stregua, veniva adita la Corte EDU affinché fosse verificato l’efficace e regolare svolgimento delle inchieste. In primo luogo, i giudici di Strasburgo hanno osservato come le autorità nazionali si fossero rifiutate di condurre un’indagine penale vera e propria sulla morte di SL e, per conseguenza, tutte le altre misure investigative procedurali risultavano superficiali e incomplete. Più in generale, veniva ribadito come la mancata apertura da parte dell’autorità di un’indagine penale in una situazione in cui un individuo sia deceduto durante la custodia cautelare costituisce di per sé una grave violazione delle norme procedurali interne in grado di compromettere la validità di qualsiasi prova raccolta. Per di più, un’inchiesta pre-investigativa non può mai di per sé essere sufficiente all’accertamento di eventuali responsabilità. In ragione di ciò, e alla luce della ricostruzione dei fatti, alla Corte EDU è apparso evidente che nel caso di specie si fosse verificata una violazione dell’art. 2 della Convezione sotto il suo profilo procedurale, per la provata incapacità da parte delle autorità russe di condurre un’indagine efficace e per non aver adottato tutte le misure necessarie all’accertamento delle circostanze di fatto relative al decesso di SL. Accanto a questo aspetto, e ripercorsi i fatti nei momenti immediatamente precedenti l’evento morte, per la Corte non sono risultate prove che “oltre ogni ragionevole dubbio” – e, quindi, inferenze chiare e inequivoche – portassero a concludere per una responsabilità omicida dei
funzionari del centro penitenziario. Piuttosto l’addebito di responsabilità ha riguardato l’assenza di un’adeguata sorveglianza dei detenuti da parte degli agenti e, dunque, l’incapacità di apprestare in maniera ragionevole ed adeguata la protezione del bene vita. Per conseguenza, la Corte ha dichiarato la violazione dell’art. 2 della Convenzione anche sotto il profilo sostanziale.