La CEDU su diritto di visita di una nonna alla nipote Rom (CEDU, sez. I, sent. 14 gennaio 2021, ric. n. 21052/18)

La Corte Edu si pronuncia sul caso della sig.ra Terna, una cittadina italiana, sposata con S.T., appartenente al gruppo etnico Rom. Tra il 2008 e il 2014 la sig.ra Terna e suo marito sono stati condannati a diverse pene detentive per traffico di droga e tratta di esseri umani. Nel frattempo, nel novembre 2010 una delle figlie di S.T. dava alla luce una bambina, subito affidata alla sig.ra Terna, per impossibilità della madre di prendersene cura. A seguito dell’arresto della sig.ra Terna nel 2014 e durante la sua prigionia, la bambina veniva affidata alla sorella della sig.ra Terna. Nel marzo 2016 il tribunale disponeva l’affidamento della minore al Comune di Milano e
confermava il collocamento presso la sig.ra Terna, avendo ritenuto che i genitori della bambina dovessero essere privati della responsabilità genitoriale. Conseguentemente, il fascicolo veniva trasmesso al giudice tutelare per il monitoraggio della situazione della famiglia; il giudice tutelare nominava un perito per effettuare una valutazione della situazione della famiglia e poco dopo veniva nominato un tutore per la bambina. Dopo tre mesi di indagini e diversi colloqui, il perito presentava la sua relazione, in cui osservava, tra l’altro, che la sig.ra Terna non aveva competenze
genitoriali, era disoccupata e si trovava in una situazione finanziaria estremamente difficile. Una negativa valutazione veniva data alla circostanza che la bambina stesse crescendo in una famiglia in
cui diversi membri avevano precedenti penali. Di qui il suggerimento da parte del perito, di collocare la minore in una famiglia affidataria e/o in una casa per bambini, garantendo il continuo contatto con la Sig.ra Terna. Il tutore della bambina, invece, aveva espresso dubbi sull’opportunità
di mantenere tali contatti, temendo un possibile rapimento della bambina da parte della sua famiglia Rom. Ad ottobre 2016 il tribunale aveva disposto che la bambina venisse collocata in una casa-famiglia. Da quel momento la sig.ra Terna aveva costantemente rivolto istanze al tribunale chiedendo di
organizzare incontri, ma, nonostante le decisioni favorevoli del tribunale, non aveva mai potuto esercitare il suo diritto di visita. Successivamente, nel febbraio 2017, momento sino al quale non si era mai tenuto alcun incontro, il tribunale aveva accolto la richiesta del tutore di sospendere tutti i
tentativi di organizzarne, fino al completamento della relazione del perito, relazione finalizzata nel giugno 2017. Successivamente la dott.ssa Terna aveva presentato altre due istanze al tribunale, questa volta entrambe respinte. La bambina, infine, era stata data in adozione ed il diritto di visita
della sig.ra Terna era stato sospeso. La Corte Edu, adìta dalla sig.ra Terna (invocando l’art.8 Cedu, per aver la stessa esercitato da sempre il ruolo di madre di fatto della bambina) ha, ovviamente, riconosciuto che nel caso di specie le autorità si erano trovate di fronte ad una situazione molto difficile, soprattutto a causa del rischio di sequestro di persona addotto dal tutore e della difficoltà da ciò derivanti per l’organizzazione pratica delle visite. Tuttavia, ha notato che in due occasioni il tribunale aveva ordinato ai servizi sociali di organizzare incontri in modo tale da mantenere segreto il luogo in cui si trovava la casa-famiglia in questione, ordine mai rispettato dai servizi sociali. Le autorità non avevano, quindi, dimostrato la dovuta diligenza in questo caso, non intraprendendo, in nessuna fase, le azioni che ci si poteva ragionevolmente aspettare da ciascuna di esse: in particolare, i servizi sociali non avevano fatto nulla per garantire la corretta attuazione del diritto di visita della Sig.ra Terna, ma nemmeno i tribunali nazionali avevano adottato misure per rendere effettivi i contatti tra la sig.ra Terna e la bambina e, successivamente, per un certo periodo, avevano “tollerato” l’incapacità della ricorrente di farle visita. Pur apparendo gli strumenti legali previsti dalla legge italiana adeguati a consentire allo Stato di far
onorare i propri obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, le autorità avevano per un certo periodo consentito la determinazione di una situazione di fatto in violazione delle decisioni
dei tribunali, ignorando gli effetti a lungo termine che avrebbero potuto derivare dalla separazione permanente della bambina dal suo principale riferimento affettivo, vale a dire la signora Terna. Alla luce di tali considerazioni e nonostante il margine di apprezzamento dello Stato convenuto in tali questioni, la Corte ha ritenuto che le autorità nazionali non avessero messo in campo sforzi adeguati e sufficienti per garantire il rispetto dei diritti di visita della Sig.ra Terna, violando il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita familiare. Di qui la conclusione dell’avvenuta violazione dell’articolo 8 della Convenzione (non anche
dell’art.14, avendo la Corte escluso che le decisioni dei tribunali fossero fondate sull’origine etnica della famiglia e della bambina).

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