La CEDU si è pronunciata sul caso Lacatus in tema di diritto al rispetto della vita privata e familiare. Il ricorrente, multato per aver elemosinato sulle strade cittadine, ha affermato che il divieto di chiedere l’elemosina per le strade ha causato un’interferenza inammissibile con la sua vita privata e familiare in quanto gli è stato impedito di provvedere alla sua sussistenza, situazione aggravata dal suo essere analfabeta, privo di altre fonti di reddito ed estremamente discriminato per la sua appartenenza alla comunità Rom. Il governo ha sostenuto che il divieto di accattonaggio persegue diversi obiettivi, vale a dire la difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica, il benessere del paese e la protezione dei diritti e delle libertà altrui. Oltre a ciò, per il governo l’accattonaggio può condurre a reclami da parte di persone infastidite, come ad esempio i commercianti preoccupati nel vedere i propri clienti allontanarsi a causa di questo fenomeno. Per prima cosa la Corte ha sottolineato che il ricorrente è stato multato per 500 Franchi ed ha subito anche una pena detentiva di 5 giorni per non aver potuto pagare la somma di denaro. Di conseguenza la Corte ha ritenuto che c’è stata un’interferenza dei diritti del ricorrente, tutelati dall’art. 8 Conv. Si è trattato di un’azione molto grave da parte del governo in quanto, data la situazione già precaria e vulnerabile del ricorrente, la privazione della libertà è stata in grado di aggiungere ulteriore senso di angoscia e vulnerabilità nell’individuo. La Corte ha ritenuto che le misure adottate dovessero essere giustificate da solidi motivi d’interesse pubblico. Per quanto attiene alla tutela dei diritti dei passanti, residenti e proprietari di attività, la Corte ha osservato che non vi sono mai state denunce alla Polizia contro il ricorrente. Per i giudici di Strasburgo la sanzione inflitta non ha costituito una misura proporzionata né allo scopo della lotta alla criminalità organizzata, né a quello della tutela dei passanti, dei residenti e degli imprenditori. Per tutti questi motivi è stato stabilito che la pena inflitta al ricorrente ha leso la sua dignità umana e l’insieme dei diritti sanciti dall’art. 8 Conv, in quanto una persona estremamente vulnerabile è stata punita in una situazione in cui non aveva altri mezzi di sussistenza alternativi e quindi non aveva alcuna scelta per poter sopravvivere. Dunque, lo Stato ha superato il margine di apprezzamento di cui godeva e pertanto vi è stata una violazione dell’art. 8 Conv.
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