La Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato da una cittadina norvegese contro il Regno di Norvegia, lamentando l’indebita interferenza nel diritto al rispetto della sua vita familiare ai sensi dell’art. 8 CEDU per essere stata privata delle sue prerogative genitoriali nei confronti della figlia e per averne disposto, l’autorità nazionale, l’adozione. Sullo sfondo della questione viene in rilievo, anzitutto, il quadro clinico della ricorrente che già in altra e precedente occasione era stata sottoposta a cure psichiatriche per depressione postpartum oltre ad essere affetta da disturbi della personalità e da un lieve ritardo mentale. Alla luce di ciò veniva ravvisata, pertanto, l’inettitudine della ricorrente a svolgere il ruolo genitoriale e, quindi, disposto il trasferimento in un centro di assistenza per bambini e famiglie. Il personale medico del centro durante il periodo di soggiorno aveva potuto osservare il comportamento della ricorrente e, in considerazione dei preoccupanti esiti, aveva proposto di interrompere la permanenza, rimettendo alle autorità competenti la decisione di valutare il ricorso all’affidamento di emergenza della minore, sul quale decideva, in senso affermativo, il County Social Welfare Board. Contro tale provvedimento la ricorrente presentava ricorso al Tribunale distrettuale, chiedendo che le sue capacità di assistenza e di cura fossero rivalutate, ma la sua domanda veniva respinta e nel 2016 la Corte Suprema disponeva definitivamente l’adozione della minore. Nel ricorso presentato innanzi alla Corte EDU la ricorrente sosteneva che le ragioni addotte per giustificare l’adozione non erano pertinenti e sufficienti e non erano suffragate da considerazioni valide e ponderate. A suo avviso, il Governo non aveva realisticamente considerato altre opzioni di là dall’interruzione permanente dei legami tra lei e sua figlia e non aveva cercato alternative all’adozione né aveva effettuato un plausibile bilanciamento degli interessi in gioco. Per conseguenza, riteneva l’interferenza subita nel diritto al rispetto della sua vita familiare non necessaria e, perciò, in contrasto con l’art. 8, par. 2 CEDU. Nel valutare il caso concreto la Corte EDU ha ribadito preliminarmente che in tutte le decisioni riguardanti i bambini e, in specie, quelle concernenti le restrizioni di contatto con i genitori, deve prevalere su ogni altro interesse quello del minore (cfr. Strand Lobben). Per costante giurisprudenza il rispetto per l’unità e per il ricongiungimento familiare in caso di separazione ricadono nell’ambito dell’articolo 8 della Convenzione pertanto, in caso di imposizione di un ordine di assistenza pubblica che limiti la vita familiare, spetta alle autorità un dovere positivo di adottare misure volte a favorire il ricongiungimento familiare. In questa ottica, infatti, qualsiasi misura concernente l’assistenza temporanea del minore deve mirare a quest’ultimo obiettivo, posto che i legami familiari possono essere recisi solo in “circostanze molto eccezionali”. Alla luce di tutto quanto premesso, i giudici di Strasburgo hanno applicato le suddette considerazioni al caso in esame e hanno considerato eccessivamente severe e restrittive le misure di contatto previste tra madre e figlia, sì da impedire l’instaurarsi di qualsiasi tipo di relazione genitoriale-filiale. Per conseguenza, la Corte – pur non dubitando che tali misure possano ridurre le conseguenze negative, fattuali ed emotive, dell’adozione, sia per il minore che per il genitore – ha ritenuto come, nel caso di specie, le autorità nazionali non abbiano avuto in debita considerazione l’obiettivo di perseguire e favorire il ricongiungimento familiare né di aver adottato misure utili ed idonee a preservare i legami familiari nella misura ragionevolmente possibile, violando perciò l’art. 8 CEDU.
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