La Corte Edu sull’adeguatezza delle condizioni della detenzione carceraria (CEDU, sez. III, sent. 24 novembre 2020, ric. n. 31623/17)

Nella decisione resa al caso Bardali c. Svizzera, la Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato dal Sig. Akram Bardali, il quale lamentava di aver subito trattamenti degradanti durante il suo periodo di detenzione nella prigione di Champ-Dollon, adducendo pertanto la violazione dell’art. 3 CEDU. Stando ai fatti esposti dal ricorrente, la misura restrittiva decisa dal Tribunale penale del Cantone di Ginevra, oltre ad apparire ingiusta veniva scontata in condizioni inidonee.
Il primo motivo di doglianza eccepito dal ricorrente ha riguardato lo spazio della cella detentiva, considerato non conforme agli standard nazionali previsti e, perciò, inadeguato per il torno di tempo (di novantotto giorni) qui ininterrottamente trascorso, condividendolo, peraltro, con altri due detenuti. A ciò si aggiungeva l’ulteriore rilievo della mancata fruizione della passeggiata e dell’ora d’aria, sì da trascorrere l’intera giornata in cella ove era stato costretto anche a consumare tutti i pasti.
Il Governo svizzero, dal canto, suo respingeva i rilievi del Sig. Bardali e ne sottolineava il reiterato comportamento aggressivo, oltre a riferire di un suo tentativo di suicidio. Lo stesso Governo metteva in evidenza come le eccezioni sollevate dal ricorrente sulle degradanti e disumane condizioni carcerarie fossero emerse solo nel ricorso innanzi alla Corte EDU e non anche davanti alle autorità giudiziarie nazionali di fronte alle quali aveva agito solo per rivendicare l’illegittimità della sua condanna. Sullo sfondo appena delineato si affacciano ulteriori due elementi rilevanti ai fini dell’inquadramento della fattispecie. Il primo riferisce l’orientamento della Corte suprema federale, per la quale l’art. 3 CEDU risulterebbe violato solo se ed in quanto, rispetto allo spazio individuale effettivamente a disposizione del detenuto, il periodo di occupazione si protragga per un lungo periodo e sia accompagnato da altre cattive condizioni di detenzione. Alla stregua di ciò lo stesso Tribunale Federale ha stabilito un periodo di riferimento di tre mesi consecutivi, precisando che tale periodo non può essere inteso come periodo in senso stretto, ma come un tempo indicativo rispetto al quale rilevano le complessive condizioni detentive. Il secondo elemento concerne il Rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che durante un’ispezione nel suddetto carcere aveva constatato l’oggettiva condizione di sovraffollamento dell’istituto cui seguiva però il solo monito a provvedervi. La Corte EDU, dopo aver ritenuto il ricorso ricevibile, ha richiamato i principi generali in tema di tortura e trattamenti inumani e degradanti dei detenuti, facendo leva in particolare sia sull’elemento temporale, quale fattore importante per valutare la violazione o meno dell’art. 3 CEDU sia sull’elemento spaziale, ritenendo l’effettiva disponibilità della superfice della cella da parte del detenuto un dato dirimente per la valutazione di detenzione degradante. Oltre a ciò i giudici di Strasburgo hanno ritenuto altrettanto fondamentale considerare, ai fini della valutazione, le complessive condizioni della detenzione. Alla luce del ricomposto quadro, la Corte ha applicato tali regole al caso di specie, in merito al quale essa ha ritenuto di dover affermare che durante il periodo di detenzione il ricorrente aveva avuto a disposizione uno spazio personale adeguato, tenuto anche conto del lasso temporale ivi trascorso. Tutto quanto detto, la Corte EDU ha reputato le condizioni di detenzione del ricorrente né disumane né degradanti e, per conseguenza, non ha rilevato la violazione dell’art. 3 CEDU. Riguardo, infine, ad ogni altra doglianza lamentata e dedotta dal ricorrente i giudici di Strasburgo hanno deciso di non procedere per mancato esperimento ed esaurimento delle vie di ricorso interne.

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