Stalking culminato in omicidio: unica fattispecie complessa (Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre – 6 novembre 2020, n. 30931)

Nel caso in cui una serie di atti persecutori (punibili ex art. 612-bis c.p.) siano tragicamente culminati in omicidio, non vi è un concorso di reati tra le due fattispecie, in quanto il delitto di atti persecutori è assorbito da quello di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576 c.p., co.1, n. 5.1, trattandosi di un’ipotesi di reato complesso ex art. 84 c.p. Ed invero, tra l’art. 576 c.p., co. 1, n. 5.1 c.p. e l’art. 612-bis c.p. sussiste un concorso apparente di norme ai sensi dell’art. 84 c.p., co. 1 e, pertanto, il delitto di atti persecutori non trova autonoma applicazione nei casi in cui l’omicidio della vittima avvenga al culmine di una serie di condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente nei confronti della medesima persona offesa.
La natura complessa della fattispecie di omicidio aggravato di cui all’art. 576, co. 1, n. 5.1), c.p. vale ad escludere, ai sensi dell’art. 84, co. 1, c.p., l’applicazione delle disposizioni sul concorso di reati, in quanto la legge considera come circostanze aggravanti di un solo reato fatti che costituirebbero, di per sé stessi, reato. Infatti, a ben vedere, ciò che aggrava l’omicidio non è il fatto che esso sia stato commesso dallo stalker in quanto tale, altrimenti configurandosi una inaccettabile interpretazione soggettivistica fondata sul tipo di autore; piuttosto, acquista rilievo la circostanza per cui l’omicidio sia stato preceduto da condotte persecutorie che siano tragicamente culminate nell’uccisione della vittima.

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