Il Conseil Constitutionnel, su ordinanze di rimessione della Corte di Cassazione (chambre criminelle, nn. 1433 e 1434 dell’8.7.2020), è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale degli articoli artt. 137-3, 144 e 144-1 del codice di procedura penale, circa la legittimità delle disposizioni normative in materia di custodia cautelare (détention provisoire). La Corte accoglie la questione e dichiara la non conformità alla Costituzione in particolare dell’art. 144-1, co. 2, del c.p.p., in quanto non tiene in debita considerazione il valore costituzionale e sovraordinato della dignità della persona, non «invenzione del soggetto di diritto» (così, Y. C. ZARKA, L’autre voie de la subjectivité. Six études sur le sujet et le droit naturel au XVIIe siècle, Paris, 2000, p. 3 ss., trad. It., a cura di F.P. Adorno, L’altra via della soggettività. La questione del soggetto e il diritto naturale nel XVII secolo, Milano, 2002), bensì «tessuto connettivo» (l’espressione è di E. QUADRI, in F. Bocchini e E. Quadri, Diritto privato, Torino, 2018, p. 311) dei diritti della personalità del genere umano, tale da giustificare la stessa inviolabilità dei diritti fondamentali (così, anche l’art. 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea). Nella fattispecie concreta, la dignità della persona diviene il parametro di valutazione della costituzionalità delle norme del codice di procedura penale in discussione, al fine di garantirne una lettura che non ammetta trattamenti digradanti e disumani nei confronti del detenuto: il caso muove da un’ipotesi di tentato omicidio, il Tribunale della Libertà respinge la richiesta di ‘messa in libertà’, nonostante le sue gravi condizioni di salute fisica e psicologica. La Corte rileva che le disposizioni normative in contestazione non assicurano la proibizione costituzionale di trattamenti degradanti e disumani, in violazione dei diritti fondamentali di libertà e di presunzione di innocenza, inteso anche quale diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo. La Corte muove, al riguardo, riferimento al riparto di competenze, spettando all’autorità giurisdizionale, e non all’autorità amministrativa di vigilanza, prevenire e reprimere azioni lesive della dignità o porre riparo ai pregiudizi subiti. Si tratta di valori affermati dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, al fine di far cessare condizioni di detenzione provvisoria offensive della dignità della persona: così, il preambolo della Dichiarazione, per il quale «all’indomani della vittoria riportata dai popoli liberi sui regimi che tentarono di asservire e degradare la persona umana, il popolo francese proclama ancora una volta che ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione o credo, possiede diritti inalienabili e sacri»; così, l’art. 9, per il quale, «ogni uomo è presunto innocente fino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni restrizione (rigueur), che non sia necessaria per assicurarsi della sua persona, deve essere severamente punita dalla legge», così, l’art. 16, per il quale, «tutte le società nelle quali la garanzia del diritto non è assicurata, né la separazione dei poteri è determinata, non hanno una Costituzione». Non potrà, dunque, essere tollerata una détention provisoire che ecceda una durata ragionevole, avuto riguardo alla gravità dei fatti ed alla complessità delle investigazioni necessarie per l’accertamento della verità; e che possa esporre a pericolo per la vita il detenuto, in considerazione delle sue condizioni fisiche e psicologiche, ove non compatibili con la misura della custodia cautelare. In simili ipotesi, non potrà mai essere impedito il ricorso al giudice, al fine di porre termine a condizioni di detenzione lesive della dignità della persona, pena la contrarietà a Costituzione di disposizioni normative contrarie.
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