La Corte EDU sull’uso della forza pubblica contro i partecipanti di una manifestazione politica (CEDU, sez. III, sent. 13 ottobre 2020, ric. nn. 35880/14 and 75926/17)

La decisione resa al caso Zakharov e Varzhabetyan contro la Federazione Russa muove dal ricorso presentato da due cittadini russi con il quale si lamentava la violazione degli articoli 3, 11 e 13 della Convenzione EDU. In particolare, i ricorrenti denunciavano il presunto uso eccessivo della forza da parte della polizia durante la dispersione di una manifestazione politica e, di seguito, il mancato svolgimento di indagini efficaci. Entrambi i ricorrenti avevano avanzato infatti richiesta di avvio di un’indagine penale, affinché venissero accertate eventuali responsabilità per i maltrattamenti subiti. La richiesta di avviare un procedimento penale veniva respinta dalla Corte distrettuale di Mosca, ritenendo l’impianto probatorio – fornito dai due ricorrenti – insufficiente a dimostrare la colpevolezza degli agenti e, dunque, inconsistente a comprovare l’offesa denunciata. La Corte EDU, dopo aver dichiarato i ricorsi ricevibili, decideva di scrutinarli congiuntamente e procedeva preliminarmente a ricomporre la cornice giuridica e giurisprudenziale di riferimento. In particolare, l’analisi della disciplina nazionale illustrava le circostanze nelle quali fosse ammesso il ricorso a mezzi speciali, compresi i manganelli di gomma, per reprimere disordini di massa nonché il ricorso all’uso della forza fisica per prevenire reati penali e amministrativi. Alla luce di quanto emerso, la Corte riteneva violato l’art. 3 CEDU sia sotto il suo profilo procedurale che sostanziale. Quanto al primo profilo facendo leva sull’obbligo per le autorità giudiziarie di avviare un’indagine penale sia in presenza di una denuncia ufficiale sia d’ufficio, quando vi fossero elementi sufficienti e chiari per ritenere sussistenti atti di maltrattamenti e di tortura. Tale ultima evenienza, per i giudici di Strasburgo, sarebbe essenziale a mantenere stretto il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Sicché nel caso di specie e alla luce dei fatti accaduti – prontamente verbalizzati dal vicecapo della direzione dell’ordine pubblico del dipartimento degli interni di Mosca – risultava sufficientemente plausibile ritenere che fossero stati compiuti maltrattamenti ai danni dei partecipanti alla manifestazione. Per conseguenza la Corte concludeva asserendo la violazione dell’art. 3 CEDU da parte delle autorità per non aver svolto alcuna indagine efficace. Quanto al secondo profilo, l’art. 3 CEDU, come ribadito dalla Corte, racchiude in sé uno dei valori più fondamentali di una società democratica. Esso vieta in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dalla condotta della vittima. E qui la polizia aveva fatto ricorso alla forza fisica pur non essendo strettamente necessaria, data la regolare condotta dei ricorrenti, i quali non erano stati condannati per alcun reato riferibile alla manifestazione né per disordini di massa. Parimenti violati venivano ritenuti anche gli articoli 11 e 13 della Convenzione. Per la Corte l’intervento della polizia e la relativa condotta nei confronti dei ricorrenti avevano integrato gli estremi di un’indebita interferenza nella libertà di riunione e di associazione ex art. 11 CEDU. Mentre riguardo all’art. 13 la Corte non ha ritenuto di dover scrutinare separatamente le doglianze alla luce delle sue conclusioni già svolte sull’art. 11 e 3 della ConvenzioneEDU. Conclusivamente la Corte condannava lo Stato al risarcimento del danno morale ad entrambi i ricorrenti.

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