La Corte Edu si è pronunciata sul ricorso presentato contro la Confederazione Svizzera da parte della Sig.ra Jecker, giornalista, alla quale era stato fatto obbligo di rivelare, nel corso di un procedimento penale, l’identità di un proprio informatore così riscontrandosi, a parere della ricorrente, la violazione dell’art. 10 della Convenzione Edu che garantisce il diritto alla libertà di espressione. Nel caso di specie, il Tribunale federale aveva escluso che la ricorrente potesse avvalersi della facoltà di astensione dal testimoniare sull’identità dello spacciatore che aveva intervistato, ritenendosi che l’interesse pubblico a perseguire una fattispecie di reato in materia di stupefacenti prevalesse sull’interesse privato del giornalista a proteggere la propria fonte, conformemente alle previsioni del quadro giuridico nazionale. Con riferimento alla protezione delle fonti giornalistiche, la Corte Edu ribadisce il principio, già più volte affermato, che la protezione degli informatori, in una società democratica, costituisce uno dei cardini della libertà di stampa ed ogni sua restrizione dovrebbe essere strettamente proporzionata allo scopo legittimo da perseguire, il cui apprezzamento è rimesso in primo luogo alla valutazione delle autorità nazionali. Spetterà poi alla Corte realizzare un più scrupoloso esame sulla compatibilità delle restrizioni alla tutela delle fonti giornalistiche con le garanzie discendenti dalla Convenzione Edu e ciò per accertare che le motivazioni addotte dalle autorità nazionali appaiono “pertinenti e sufficienti”. Ciò premesso, i giudici di Strasburgo riscontrano che nel caso in esame si sia verificata un’interferenza con il diritto della ricorrente alla tutela delle proprie fonti giornalistiche e che siffatta violazione, pur apprezzandosi la sussistenza di un legittimo motivo alla persecuzione di un crimine, risultava essere non giustificata dalla gravità del reato, consistente nel traffico di droghe leggere. In altri termini, l’obbligo imposto alla giornalista di divulgare l’identità della propria fonte non sarebbe stato giustificato dalla ricorrenza di una condizione imperativa di diritto pubblico. Per conseguenza, la Corte conclude nel senso di ritenere che, in assenza di motivi sufficienti addotti dalle autorità nazionali, l’interferenza nell’esercizio da parte della ricorrente della sua libertà di espressione non possa essere considerata “necessaria in una società democratica” nel significato di cui all’articolo 10 § 2. Di qui, l’accertata violazione del parametro convenzionale evocato.
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